La psicologia dei processi inconsciUno sguardo generale alla teoria e al metodo moderno della psicologia analitica1917 |
PrefazioneQuesto breve lavoro è nato quando mi accinsi, su richiesta dell'editore, a rivedere per una seconda edizione il saggio «Nuove vie della psicologia» apparso nel 1912 nell'annuario Rascher, e corrisponde quindi, in forma rimaneggiata e più estesa, a quel mio saggio precedente. In esso, tuttavia, mi limitavo all'esposizione di una parte essenziale della concezione psicologica iniziata da Freud e i molteplici e considerevoli cambiamenti che negli ultimi anni sono stati apportati alla psicologia dell'inconscio mi hanno costretto ad ampliarne notevolmente i confini. Diverse argomentazioni su Freud sono state abbreviate, in compenso è stata presa in considerazione la psicologia di Adler e, per quanto possibile nell'ambito del presente lavoro, è stata effettuata un'esposizione di carattere generale delle mie idee. Devo far presente in anticipo al lettore che non si tratta di uno scritto facile, di carattere scientifico-divulgativo come nel caso del saggio precedente, bensì d'una esposizione che, a causa della materia estremamente complicata, richiede maggiore pazienza e attenzione. Non presumo affatto che quest'opera sia, sotto qualunque aspetto, definitiva o sufficientemente persuasiva: si potrebbe soddisfare una tale pretesa soltanto con vasti trattati scientifici sui singoli problemi toccati. Rimando quindi alla letteratura specializzata coloro che vogliano approfondire ulteriormente i problemi qui sollevati. È mia intenzione fornire semplicemente un certo orientamento sulle più recenti concezioni riguardanti la natura della psicologia dell'inconscio. Considero il problema dell'inconscio così importante e attuale che sarebbe a mio avviso una grande perdita se questo problema, che riguarda tutti così da vicino, sparisse all'orizzonte del pubblico colto non specializzato a causa dell'esilio in una inaccessibile rivista scientifica, così da condurre un'esistenza umbratile e cartacea in uno scaffale di biblioteca. I processi psicologici che accompagnano l'attuale guerra — soprattutto l'imbarbarimento della capacità generale di giudizio, le calunnie reciproche, l'inattesa furia distruttrice, l'incredibile marea di menzogne e l'incapacità degli uomini di fermare il demone sanguinario — sono quanto mai adatti ad attirare con urgenza l'attenzione dell’essere umano raziocinante sul problema dell'inconscio caotico che sonnecchia, inquieto, al di sotto dell'ordinato mondo della coscienza. Questa guerra ha mostrato spietatamente all'uomo civilizzato di essere ancora un barbaro e, al tempo stesso, quale ferrea verga lo aspetta se gli dovesse venire in mente ancora una volta di addossare al suo vicino la responsabilità dei propri difetti. La psicologia del singolo corrisponde però alla psicologia delle nazioni. Quello che fanno le nazioni fa anche ogni singola persona, e fintanto che lo fa il singolo lo fa anche la nazione. Solo il cambiamento della mentalità del singolo costituisce l'inizio del cambiamento della psicologia della nazione. I grandi problemi dell'umanità non furono mai risolti con grandi leggi, bensì solo col cambiamento della mentalità del singolo. Se c'è mai stato un periodo in cui l'introspezione è stato l'unico atteggiamento giusto e assolutamente necessario, è proprio la nostra epoca catastrofica. Chi però riflette sempre su se stesso si scontra con le barriere dell'inconscio che appunto contiene proprio ciò che, più d'ogni altra cosa, bisogna conoscere. Küsnacht (Zurigo), dicembre 1916 Dr. C.G. Jung Gli inizi della psicoanalisiCome tutte le scienze, anche la psicologia ha attraversato un periodo scolastico-filosofico che in parte aura ancora, ai nostri giorni. A questo tipo di psicologia filosofica va mosso il rimprovero di decidere ex catedra come debba essere l'anima e quali caratteristiche le debbano spettare nella vita terrena e in quella ultraterrena. Lo spirito dello studio moderno della natura ha in gran parte sgombrato il campo da queste fantasie e le ha sostituite con un metodo empirico esatto. Da ciò è nata l'attuale psicologia sperimentale o «psicofisiologia», come dicono i francesi. Il padre di questo indirizzo fu quello spirito contraddittorio di Fechner che, con la sua psicofisica (1860), intraprese l'impresa rischiosa di far entrare gli aspetti fisici nell'interpretazione dei fenomeni psichici. Questa idea fu molto feconda di risultati. Contemporaneo più giovane di Fechner e, possiamo ben dire, colui cne completò la sua opera, è Wundt, la cui grande erudizione, capacità lavorativa e abilità d'inventare nuovi metodi di ricerca sperimentale hanno creato quell'indirizzo della psicologia che si è oggi affermato. Fino a qualche tempo fa la psicologia sperimentale era essenzialmente accademica. Il primo tentativo di rilievo di rendere utile per la psicologia pratica almeno uno dei suoi numerosi metodi sperimentali partì da alcuni psichiatri dell'ex scuola di Heidelberg (Kraepelin, Aschaffenburg, ecc.), poiché comprensibilmente il medico della psiche avverte per primo l'urgente necessità di un'esatta conoscenza dei processi psichici. In un secondo momento la pedagogia si avvicinò alla psicologia con le proprie esigenze. Da ciò è nata recentemente una «pedagogia sperimentale», di cui si sono resi benemeriti rispettivamente Meumann in Germania e Binet in Francia. Il cosiddetto «medico dei nervi», ha urgente bisogno di conoscenze psicologiche se vuole veramente aiutare i suoi pazienti nervosi, perché i disturbi nervosi e, comunque, tutto quello che si definisce «nervosismo», isteria, ecc., sono di origine psichica e richiedono logicamente un trattamento psichico. L'acqua fredda, la luce, l'aria, l'elettricità, il magnetismo, ecc. agiscono in modo transitorio o, più spesso, non agiscono affatto. Spesso sono indegni giochi d'abilità miranti solo all'effetto suggestivo. Ma la sofferenza del malato è nella psiche: si tratta cioè di quelle funzioni, le più complicate e le più alte, che non si osa quasi più attribuire al campo della medicina. Qui il medico deve essere anche psicologo, cioè conoscitore dell'anima umana. Questa necessità non gli dà pace. È comprensibile che si rivolga alla psicologia poiché il suo manuale psichiatrico non dice niente in proposito. L'attuale psicologia sperimentale, però è, ancora lungi dal consentirgli una qualche comprensione coerente dei processi psichici più importanti nella pratica, perché il suo scopo è un altro: essa cerca di isolare processi quanto più possibile semplici ed elementari, ai limiti del fisiologico, e di studiarli isolatamente. Essa non è affatto incline all'infinitamente variabile e mobile della vita spirituale individuale, poiché le sue conoscenze e i suoi dati di fatto sono limitati al dettaglio essenziale e mancano di vasti contesti. Chi quindi vuole imparare a conoscere l'anima umana, verrà a saperne poco o niente dalla psicologia sperimentale. Bisognerebbe piuttosto consigliargli di spogliarsi delle vesti di dotto, di dire addio alla stanza di studio e di girare con spirito aperto il mondo, di penetrare negli orrori di carceri, manicomi e ospedali, per i cupi bar di periferia, i bordelli e le bische, per i saloni della società elegante, le borse, le assemblee socialiste, le chiese, i «revivais» e le estasi delle sette, di provare sul proprio corpo amore e odio, ogni forma di passione. Allora tornerà carico di un sapere più ricco di quello che i voluminosi libri di testo non gli avrebbero mai dato, e potrà essere un medico per i suoi pazienti, un vero conoscitore dell'anima umana. Bisognerà scusarlo se il suo rispetto per le cosiddette «pietre miliari» della psicologia sperimentale non sarà più molto grande, perché tra ciò che la scienza chiama psicologia e ciò che la prassi della vita quotidiana si aspetta dalla «psicologia», si è «consolidata una profonda spaccatura». Questo difetto ha dato origine a una nuova psicologia. Dobbiamo questa creazione in primo luogo a Sigmund Freud di Vienna, medico e ricercatore geniale delle malattie nervose funzionali. La psicologia da lui iniziata potrebbe definirsi psicologia analitica. Bleuler ha proposto il nome di «psicologia del profondo», per indicare che la psicologia di Freud si occupa delle profondità della psiche che vengono anche definite inconscio. Freud si limita a definire il metodo della sua analisi: lo definisce psicoanalisi. Prima di addentrarci in una descrizione un po' più precisa della materia stessa bisogna dire qualcosa circa la sua collocazione rispetto alla scienza che è esistita fino ad ora. Assistiamo qui ad uno strano spettacolo in cui l'osservazione di Anatole France, «Les savants ne sont pas curieux». [I dotti non sono curiosi], si dimostra ancora una volta vera. Il primo lavoro importante1 in questo campo destò a malapena una debole eco, sebbene recasse un'interpretazione completamente nuova delle nevrosi. Alcuni autori si espressero in modo lusinghiero nei suoi riguardi e continuarono a rappresentare nel vecchio modo i loro casi d'isteria. Si comportarono pressappoco come se si riconoscesse con elogio l'idea o la realtà della sfericità della terra, ma si continuasse tranquillamente a rappresentarla come un disco. Le successive pubblicazioni di Freud rimasero del tutto ignorate, sebbene recassero, per esempio proprio nel campo della psichiatria, osservazioni d'incalcolabile importanza. Quando Freud, nel 1900, espose la prima vera psicologia del sogno (prima regnava in questo campo il buio delle tenebre) si inizio a riderne e quando, intorno alla metà dell'ultimo decennio, cominciò a chiarire la psicologia della sessualità, si iniziò a insultare, talvolta in modo molto volgare, la qual cosa dura ancora oggi. Quanto accuratamente ci si sia occupati dei testi lo mostra l'ingenuo giudizio espresso da uno dei più eminenti neurologi parigini in un congresso internazionale nel 1907: «Non ho letto le opere di Freud (infatti non capisce il tedesco), ma per quanto concerne le sue teorie non sono altro che "mauvaise plaisanterie'" [un brutto scherzo]». Dobbiamo quindi esaminare questa nuova psicologia un po' più da vicino. Si sapeva già ai tempi di Charcot che il sintomo nevrotico è «psicogeno», cioè nasce dalla psiche. Si sapeva anche, soprattutto grazie ai lavori della scuola di Nancy, che ogni sintomo isterico può essere prodotto esattamente nello stesso modo anche tramite suggestione. Non si sapeva però in che modo un sintomo isterico nasce dalla psiche; ì contesti psichici causali erano del tutto ignoti. Agli inizi degli anno 80 il Dottor Breuer, un vecchio praticone viennese, fece una scoperta che segnò di fatto l'inizio della nuova psicologia. Aveva una giovane paziente molto intelligente che soffriva d'isteria e tra l'altro dei seguenti sintomi: aveva una paralisi spastica (rigida) al braccio destro, di tanto in tanto presentava «assenze» o stati di semi incoscienza, aveva anche perso in parte le facoltà linguistiche nel senso che non disponeva più della conoscenza della sua madre lingua, ma poteva esprimersi soltanto in inglese (la cosiddetta afasia sistematica). Si cercò allora e si cerca ancora oggi di avanzare teorie anatomiche di questi disturbi, sebbene le localizzazioni cerebrali della funzione del braccio fossero altrettanto poco affette da disturbo di quelle del corrispondente centro in una persona normale. La sintomatologia dell'isteria è piena di impossibilità anatomiche. Una signora che per un'affezione isterica aveva perso completamente l'udito soleva cantare spesso. Una volta, proprio mentre la paziente cantava una canzone, il suo dottore si sedette non visto al pianoforte e la accompagnò sommessamente: nel passaggio da una strofa all'altra egli cambiò improvvisamente tonalità, al che la paziente continuò a cantare, senza accorgersene, seguendo la nuova tonalità. Dunque essa sentiva — eppure non sentiva. Le diverse forme di cecità sistematica presentano fenomeni simili. Un uomo soffre di completa cecità isterica e nel corso della cura riacquista la vista, ma all'inizio, e per un lungo periodo, in modo solo parziale: infatti vede tutto ad eccezione delle teste delle persone. Vede tutte le persone a lui vicine senza testa. Dunque vede — eppure non vede. A seguito d'un gran numero d'esperienze del genere si è scoperto già da tempo che solo la coscienza dei malati non vede e non sente, mentre la funzione sensoriale è sana. Questo dato di fatto è in netto contrasto con la natura sensoriale del disturbo organico, che colpisce sempre la funzione stessa. Dopo questa digressione torniamo al caso Breuer: non erano presenti cause organiche del disturbo, bisognava quindi considerare il caso come isterico, cioè psicogeno. Breuer aveva notato che se lasciava raccontare alla paziente, in stati di semi incoscienza artificiali o spontanei, le reminiscenze e le fantasie che si affollavano alla sua mente, in seguito le sue condizioni si presentavano migliorate per alcune ore. Utilizzò questa osservazione con regolarità per il successivo trattamento. A tale riguardo la paziente inventò l'espressione pertinente «talking cure» [cura discorsiva] o anche, scherzosamente, «chimmy sweep» [spazzare il camino]. La paziente si era ammalata nell'assistere il padre malato in punto di morte. Comprensibilmente le sue fantasie vertevano su questo inquietante periodo. Le reminiscenze di quel periodo riaffioravano negli stati di semi incoscienza con fedeltà fotografica, con tale precisione e chiarezza fino all'ultimo dettaglio che la memoria da sveglia non sarebbe mai stata in grado di riprodurre in modo così plastico e preciso. (Si dà il nome di ipermnesia a quell'aumento della capacità di memoria che si verifica non ai rado negli stati di restrizione della coscienza.) Vennero fuori delle cose singolari. Ecco approssimativamente uno dei tanto racconti. Una volta si svegliò di notte molto spaventata per la febbre alta del malato e tesa perché da Vienna doveva arrivare un chirurgo per l'operazione. La madre si era allontanata per qualche tempo e Anna [la paziente] sedeva al capezzale del malato, il braccio destro sullo schienale della sedia. Cadde in uno stato di dormiveglia e vide che dalla parete un serpente nero si avvicinava al malato per morderlo. [È molto probabile che sul prato dietro la casa si trovassero effettivamente alcuni serpenti, per i quali la ragazza si era già spaventata in precedenza e che ora fornivano il materiale dell'allucinazione.] Voleva allontanare l'animale, ma era come paralizzata; il braccio destro, pendendo dallo schienale, si era «addormentato», era diventato anestetizzato e paretico e guardandolo vide che le dita si trasformavano in piccoli serpenti terminanti a forma di teschio. Probabilmente fece dei tentativi di scacciare il serpente con la mano destra paralizzata e con ciò l'anestesia e la paralisi si associarono all'allucinazione del serpente. Quando questa sparì nella sua paura volle pregare, ma ogni lingua le sfuggiva, non poteva parlare in nessuna lingua, finché trovò un verso infantile inglese e potè così continuare a pensare e pregare in inglese. Questa era la scena in cui erano nati la paralisi e il disturbo linguistico; raccontando la scena anche il disturbo cessò. E in tal modo il caso fu completamente risolto. Qui mi devo accontentare di riportare quest'unico esempio. Nel citato libro di Breuer e Freua si trova una gran quantità di esempi simili. È comprensibile che scene di questo tipo colpiscano molto e rimangano impresse e perciò si sia inclini ad attribuire loro anche un significato causale per l'insorgere del sintomo. La concezione che regnava allora nel campo dell'isteria, cioè la teoria di origine inglese del «nervous shoo, sostenuta energicamente da Charcot, era adatta a spiegare la scoperta di Breuer. Da ciò derivò la cosiddetta teoria del trauma, la quale afferma che il sintomo isterico e, nella misura in cui i sintomi costituiscono le malattie, l'isteria stessa derivano da ferite psichiche (traumi), la cui impressione perdura inconsciamente per anni. Freud, che era inizialmente un collaboratore di Breuer, potè confermare ampiamente questa scoperta. Risultò che delle molte centinaia ai sintomi isterici nessuno nasce per caso, bensì è sempre causato da eventi psichici. Perciò la nuova concezione aprì un ampio campo al lavoro empirico. Lo spirito di ricerca di Freud non poteva però rimanere a lungo legato a questo stadio superficiale, perché già emergevano problemi più profondi e difficili. Certo è chiaro che momenti di grande paura, quali quelli vissuti dalla paziente di Breuer, possono lasciare un'impressione permanente. Ma come mai la paziente vive tali momenti che recano di per sé già chiaramente l'impronta della morbosità? Era stata la stancante assistenza al malato a far insorgere una tale conseguenza? Allora qualcosa del genere dovrebbe verificarsi molto più spesso perché moltissime assistenze ai malati sono estenuanti e la salute nervosa di chi accudisce il malato non è sempre in perfette condizioni. In medicina c'è un'ottima risposta a questo problema. Si dice: «L'incognita del problema è la predisposizione». Si è infatti «predisposti» a queste cose. Ma il problema che si poneva Freud era: in cosa consiste la predisposizione? Questo interrogativo portò logicamente all'analisi dell'antefatto del trauma psichico. Si vede spesso come scene inquietanti agiscano in modo del tutto differente sulle diverse persone interessate, o come cose che sono indifferenti o addirittura piacevoli per gli uni, suscitino il più grande ribrezzo in altri; si pensi a rospi, serpenti, topi, gatti, ecc. Ci sono casi di donne che assistono tranquillamente a operazioni sanguinose, ma al contatto con un gatto tutto il loro corpo si mette a tremare di paura o ribrezzo. Conosco il caso di una giovane signora che soffriva d'isteria a seguito d'uno spavento improvviso. Una sera era stata in società e, all'incirca a mezzanotte, in compagnia di parecchi conoscenti si trovava diretta a casa, quando, improvvisamente, alle spalle arrivò una carrozza a trotto veloce. Gli altri si scansarono, ma lei, paralizzata dal terrore, rimase in mezzo alla strada e cominciò a correre davanti ai cavalli. Il cocchiere faceva schioccare la frusta e imprecava; non serviva a nulla, lei correva giù per la strada che portava ad un ponte. Lì le forze l'abbandonarono e per non cadere sotto i cavalli, in preda alla massima disperazione, voleva tuffarsi nel fiume, ma dei passanti riuscirono a trattenerla... La stessa signora capitò per caso quel sanguinoso 22 gennaio a St. Petersburg in una strada che veniva per l'appunto «ripulita» dal fuoco dei militari. Intorno a lei la gente cadeva al suolo morta o ferita, lei però adocchiò colla massima calma e tranquillità di spirito il portone d'un cortile attraverso il quale potè mettersi in salvo in un'altra strada. Questi terribili momenti non le causarono alcun nuovo disturbo. Dopo stava perfettamente bene, addirittura meglio del solito. Succede spesso di osservare un comportamento sostanzialmente simile. Ne risulta necessariamente la conclusione che l'intensità d'un trauma ha poca importanza patogena (cioè causa di malattia), ma contano invece le condizioni particolari. Con ciò si è trovata una chiave che può far luce sulla predisposizione. Dobbiamo quindi porci la domanda: quali sono le particolari condizioni della scena della carrozza? La paura cominciò quando la signora sentì i cavalli avvicinarsi; per un momento le sembrò come se ciò comportasse una tragica sventura, come se significasse per lei la morte o qualcosa di terribile; a quel punto aveva già perso completamente il controllo di sé. A quanto pare i cavalli costituiscono l'elemento decisivo. La predisposizione della paziente a reagire in modo così incontrollato a questo evento insignificante dovrebbe risiedere nel fatto che i cavalli hanno per lei un significato particolare. Bisognerebbe presumere che per esempio abbia vissuto una volta qualcosa di pericoloso con i cavalli. Ciò è effettivamente vero, infatti, all'età di sette anni, stava facendo una passeggiata in carrozza, quando i cavalli si imbizzarrirono e si avvicinarono, a corsa folle, alla sponda a picco d'un fiume profondamente incassato. Il cocchiere saltò giù e le gridò di fare altrettanto, al che lei, colta da mortale paura, non riusciva a decidersi. Però all'ultimo momento saltò mentre i cavalli con tutta la carrozza andarono a sfracellarsi nell'abisso. Non c'è dubbio che un tale avvenimento lasci dietro di sé impressioni profonde. Tuttavia non spiega perché a un'innocua situazione analoga debba poi seguire una reazione così insensata. Finora sappiamo soltanto che il successivo sintomo isterico ebbe un prologo nell'infanzia. La parte patologica rimane però oscura. Per penetrare questo mistero occorrono altre esperienze. Col crescere dell'esperienza era risultato che in tutti i casi sottoposti ad analisi fino a quel momento esisteva, accanto agli avvenimenti traumatici, un particolare tipo di disturbo che non si può definire in altro modo se non come un disturbo nel campo dell'amore. Com'è noto l'amore è un concetto estensibile che va dal cielo all'inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l'infinito. Attraverso questa constatazione si realizzò un notevole cambiamento nella concezione di Freud. Se prima, più o meno affascinato dalla teoria del trauma di Charcot, aveva cercato la causa della nevrosi negli eventi traumatici, ora la chiave si spostò in tutt'altra direzione. La spiegazione migliore ci viene dal nostro caso: capiamo che i cavalli possono pur avere un ruolo particolare nella vita della paziente, non capiamo però la reazione successiva, così esagerata e inopportuna. L'elemento morbosamente singolare ai questa storia consiste nel fatto che è proprio dei cavalli che lei ha paura. Ricordando la summenzionata constatazione empirica che di regola a fianco degli eventi traumatici è presente un disturbo nel campo dell'amore, bisognerebbe ricercare in questo caso se ci sono problemi da questo punto di vista. La signora conosce un giovanotto col quale pensa di fidanzarsi, lo ama e spera di essere felice con lui. In un primo momento non c'è altro da scoprire. La ricerca non deve però lasciarsi scoraggiare da un risultato negativo dopo un'indagine superficiale. Ci sono vie indirette là dove la via diretta non porta allo scopo. Perciò torniamo a quello strano momento quando scappò davanti ai cavalli. Ci informiamo della compagnia e quale rosse il motivo della riunione a cui essa aveva partecipato; era una cena di commiato per la sua migliore amica che per disturbi nervosi si recava per un lungo periodo in un luogo di cura all'estero. L'amica è sposata e, a quanto sentiamo, felicemente; è anche madre di un bambino. Possiamo dubitare dell'affermazione circa la sua felicità; perché se fosse veramente così, non avrebbe presumibilmente alcun motivo di essere nervosa e bisognosa d'una cura. Cominciando a fare domande su un altro argomento venni a sapere che la paziente, quando i suoi conoscenti la raggiunsero, fu riportata nella casa dell'ospite, poiché era il posto più vicino per assisterla. Esausta com'era, vi fu accolta con molta ospitalità. A questo punto la paziente interruppe il racconto, divenne imbarazzata e confusa e cercò di passare a un altro argomento. Si trattava evidentemente di una qualche reminiscenza spiacevole che era emersa improvvisamente. Dopo il superamento di tenaci resistenze da parte della paziente, risultò che quella notte era accaduta un'altra cosa molto strana: il gentile ospite le aveva fatto una focosa dichiarazione d'amore, da cui era nata una situazione che, data l'assenza della padrona di casa, era un po' difficile e imbarazzante. A sentir lei questa dichiarazione d'amore la colpì come un fulmine a ciel sereno. Cose del genere sogliono però avere sempre il loro antefatto. Il lavoro delle settimane successive fu quello di scavare pezzo per pezzo una lunghissima storia d'amore, finché ne risultò un quadro completo che io cercherò di riportare qui di seguito. Da bambina la paziente era stata un vero maschietto, amava solo i giochi sfrenati da ragazzo, derideva il proprio sesso e fuggiva ogni atteggiamento e occupazione femminile. Dopo la pubertà, quando il problema erotico avrebbe dovuto toccarla più da vicino, cominciò a sfuggire tutti i compagni, odiava e disprezzava tutto quello che ricordasse anche alla lontana il destino biologico dell'essere umano e visse in un mondo di fantasie che non avevano nulla in comune con la brutale realtà. Così fino a 24 anni rifuggì da tutte quelle piccole avventure, speranze e aspettative che di solito animano una donna a questa età. (Da questo punto di vista le donne sono spesso d'una ammirevole insincerità verso se stesse e verso il medico.) A quel punto conobbe però due uomini destinati a penetrare quella siepe spinosa che le era cresciuta intorno. Il signor A. era il marito della, allora, sua migliore amica, il signor B., scapolo, era l'amico del signor A. Entrambi le piacevano. Tuttavia presto ebbe l'impressione di preferire di gran lunga il signor B. Di conseguenza nacque presto un rapporto intimo tra lei e il signor B. e si parlò anche della possibilità d'un fidanzamento. Tramite il rapporto col signor B. e per via della sua amica, venne spesso in contatto anche col signor A., la cui presenza inspiegabilmente la agitava e innervosiva. In questo periodo la paziente partecipò a una grande riunione mondana. Anche i suoi conoscenti erano presenti. Era immersa nei suoi pensieri e giocava trasognata con l'anello che improvvisamente le scivolò di mano e rotolò sotto il tavolo. Entrambi gli uomini si misero a cercarlo e al signor B. riuscì di trovarlo. Le infilò l'anello al dito con un sorriso eloquente dicendo: «Lei sa che cosa significa!». Allora fu assalita da una strana e irresistibile sensazione, strappò l'anello dal dito e lo buttò fuori dalla finestra, che era aperta. Comprensibilmente ne seguì un momento d'imbarazzo e, profondamente irritata, lei abbandonò presto la compagnia. Poco dopo il cosiddetto caso volle che lei passasse le ferie estive in una località di cura dove si trovavano anche il signor A. e la signora A. La signora A. cominciò a diventare visibilmente nervosa e perciò rimase spesso a casa indisposta. La paziente aveva quindi la possibilità di andare a passeggio da sola col signor A. Una volta presero una piccola imbarcazione. Lei era sfrenatamente allegra e improvvisamente cadde dalla barca. Solo con difficoltà il signor A. potè salvare la signora che non sapeva nuotare e la issò in barca semisvenuta. E a questo punto la baciò. Con questo evento romanzesco i capi della vicenda risultavano ora ben saldati. Prendendo l'episodio a pretesto con se stessa, la paziente spinse ancor più energicamente per il fidanzamento col signor B. e si convinceva quotidianamente di amarlo. Questo strano gioco non era naturalmente sfuggito allo sguardo acuto della gelosia femminile. La signora A., la sua amica, aveva percepito il segreto, di conseguenza si tormentava e con ciò aumentava il suo nervosismo. Così divenne necessario per la signora A. recarsi in cura all'estero. Alla festa di commiato lo spirito maligno andò dalla nostra malata e le sussurrò: «Stasera lui è solo, ti deve succedere qualcosa perché tu possa entrare in casa». E così fu: col suo strano comportamento entrò in casa e ottenne quello che aveva cercato. Dopo questa spiegazione ognuno sarà portato a presumere che solo una raffinatezza diabolica possa ideare e realizzare una tale concatenazione di circostanze. Quanto a raffinatezza non c'è da dubitarne, tuttavia la valutazione morale è dubbia: infatti devo sottolineare con forza che per la paziente erano assolutamente inconsce le cause di questo drammatico comportamento. La storia si verificò apparentemente da sola, senza che lei avesse una qualche coscienza delle cause. Sulla base dell'intero antefatto è però chiaro che tutto mirava inconsciamente a questo scopo, mentre la coscienza si sforzava di realizzare il fidanzamento col signor B. Ma la spinta inconscia a percorrere l'altra strada era più forte. Torniamo ora nuovamente alla nostra osservazione iniziale, cioè alla domanda, da dove derivi l'elemento patologico (o straordinario, eccessivo) della reazione al trauma. Sulla base d'un principio dedotto da ulteriori esperienze, abbiamo avanzato la supposizione che anche in questo caso oltre al trauma, che apparentemente risulta causa di malattia, esista un altro disturbo nel campo dell'amore. Questa supposizione è stata del tutto confermata e da ciò abbiamo imparato che il trauma, che è apparentemente causa di malattia, non è altro che un pretesto col quale si manifesta qualcosa che prima era inconscio, cioè un importante conflitto erotico. Con ciò il trauma perde la sua luce patogena e al suo posto subentra una concezione molto più vasta e profonda che configura l'agente patogeno come un conflitto erotico. Si sente spesso la domanda: perché la causa della nevrosi deve essere proprio il conflitto erotico e non un altro conflitto? Bisogna replicare: nessuno afferma che debba essere così, ma risulta essere così. Nonostante tutte le assicurazioni contrarie e indignate, l'amore, i suoi problemi e conflitti risultano essere di fondamentale importanza per la vita umana e, come emerge sempre da accurate indagini, d'importanza di gran lunga superiore a quanto l'individuo supponga. La teoria del trauma è stata perciò accantonata perché antiquata, infatti avendo compreso che la radice delle nevrosi non è il trauma, bensì il conflitto erotico nascosto, il trauma perde la sua importanza patogena. La teoria sessualeCon la comprensione del caso precedente il problema del trauma era risolto e sistemato, ma in compenso la ricerca si trovava di fronte al problema del conflitto erotico che, come mostra il nostro esempio, contiene molti elementi abnormi e quindi non è facile da confrontare a prima vista con un conflitto erotico consueto. Soprattutto salta all'occhio e risulta quasi incredibile che solo l'ostentazione debba essere consapevole, mentre la vera passione della paziente rimane ignota. In questo caso tuttavia è incontestabile che il vero rapporto erotico rimaneva oscuro, mentre era solo l'apparenza a dominare il campo visivo della coscienza. Se formuliamo teoricamente questo fatto, ne deriva all'incirca il seguente principio: nella nevrosi esistono due tendenze che sono in stretto contrasto tra loro e delle quali almeno una è inconscia. Questo principio è espresso volutamente in modo molto generale. Con ciò vorrei senz'altro mettere in rilievo che il conflitto causa di malattia è, sì, un momento personale, ma al tempo stesso anche un conflitto dell'umanità, il quale si manifesta nell'individuo poiché la mancanza d'unità con se stesso è una caratteristica dell'uomo civilizzato. Il nevrotico è solo un caso particolare della mancanza d'unità nell'uomo civilizzato. Notoriamente il processo di civilizzazione consiste in una progressiva sottomissione della parte animalesca dell'uomo; è un processo di addomesticamento che non può essere effettuato senza rivolta da parte della natura animale desiderosa di libertà. Di tanto in tanto l'umanità, sottoposta alla spirale della civilizzazione, è attraversata come da un'ebbrezza: l'antichità l'ha vissuta nell'onda che frangendosi da est portava le orge dionisiache, che divennero una componente essenziale e caratteristica della cultura antica e il cui spirito contribuì non poco a far sì che, in numerose sette e scuole filosofiche dell'ultimo secolo prima di Cristo, l'ideale stoico diventasse ascesi e dal caos politeistico d'allora derivassero le religioni ascetiche gemelle di Mitra e di Cristo. Una seconda ondata di ebbrezza dionisiaca di libertà attraversò l'umanità occidentale nel Rinascimento. È difficile giudicare il proprio tempo. Ma se guardiamo come si sviluppano le arti, il sentimento per lo stile e il gusto pubblico, cosa leggono e scrivono gli uomini, che associazioni fondano, quali «questioni» sono all'ordine del giorno, da cosa si difendono i filistei, allora troviamo nel lungo elenco dei nostri problemi sociali contemporanei non ultimo il cosiddetto «problema sessuale», che è portato avanti da persone che scuotono la morale sessuale esistente e vorrebbero spazzar via il peso della colpa morale che i secoli passati hanno accumulato sull'eros. Non si può semplicemente negare l'esistenza di questi sforzi o rimproverar loro una mancanza di legittimazione; esistono e quindi hanno di per sé un motivo sufficiente per esistere. E’ più interessante e utile analizzare attentamente e basi di questi movimenti contemporanei, piuttosto che unirsi al lamento delle prediche moraliste che profetizzano il declino morale dell'umanità. È un privilegio dei moralisti quello di conferire pochissima fiducia al buon Dio, poiché credono che il bell'albero dell'umanità prosperi soltanto puntellandolo, legandolo e tirandolo per farlo crescere a spalliera, mentre invece padre sole e madre terra lo hanno fatto crescere per la loro gioia secondo profonde e ingegnose leggi. Le persone serie sanno che oggi esiste una questione sessuale. Si sa che il rapido sviluppo delle città con la sua unilateralità della prestazione, favorita dalla straordinaria divisione del lavoro, e l'aumento della sicurezza esistenziale privano l'umanità di molte occasioni di scaricare le proprie energie affettive. Il contadino con la sua attività variata, che col suo contenuto simbolico gli garantisce una soddisfazione inconscia che l'operaio della fabbrica e l'impiegato d'ufficio non conoscono e non possono mai avere, la vita nella natura, i bei momenti quando il contadino nella veste di signore e fecondatore della terra spinge l'aratro nel terreno, quando con un gesto regale sparge il seme del futuro raccolto, la sua legittima paura delle forze distruttrici degli elementi, la gioia per la fecondità della sua donna che gli regala figlie e figli che significano maggior forza lavoro e maggior benessere — da tutto ciò noi uomini di città, noi moderne macchine da lavoro, siamo molto lontani. Non ci manca già la più naturale e la più bella di tutte le soddisfazioni, quella di poter guardare con gioia univoca al risultato della nostra semina, la «messe» dei bambini? Può nascere soddisfazione da questa situazione? Le persone si trascinano al lavoro (osservate le facce alle 7 1/2 di mattina nei tram), l'uno fabbrica la sua rotella, l'altro scrive cose che non gli interessano; non c'è da stupirsi se ogni uomo giusto appartiene a tante associazioni quanti sono i giorni della settimana e se per le donne fioriscono le sette, dove investono in qualche eroe semidio quelle nostalgie non appagate che l'uomo sazia nel ristorante «in allegria» con la birra e dandosi delle arie. A queste fonti d'insoddisfazione si aggiunge un ulteriore fattore importante. La natura, ha dotato l’uomo, privo di difesa e di armi, di una grande quantità d'energia che lo deve mettere in grado, non solo di sopportare passivamente i grandi pericoli dell'esistenza, ma anche di vincerli. Madre natura ha dotato suo figlio per far fronte a molte necessità. Gli uomini civilizzati sono di solito al riparo dalle dirette e incalzanti necessità della vita, poiché quotidianamente si lasciano andare alla sfrenatezza; infatti l'essere umano istintivo è sempre stato esuberante quando non era oppresso dalla dura miseria. Siamo allora veramente sfrenati? In quali feste orgiastiche e altri misfatti scarichiamo l'eccesso di forza vitale? Le nostre concezioni morali non ci consentono questa via d'uscita. Ma perché questa limitazione morale? Forse per rispetto religioso verso il Dio collerico? A prescindere dall'ateismo, sempre più diffuso, anche un credente si può chiedere tranquillamente se, al posto di Dio, punirebbe una sfrenatezza come quella di Hans e Grete con una dannazione praticamente eterna. Simili idee non sono assolutamente conciliabili col nostro decoroso concetto di Dio. Necessariamente il nostro Dio è di gran lunga troppo tollerante per poter fare di questa faccenda un gran problema. Così la nostra morale sessuale contemporanea, colorita un po' d'ascesi e specialmente d'ipocrisia, viene privata dello sfondo su cui agire. O ci protegge forse dalla sfrenatezza una saggezza superiore e la consapevolezza della futilità dell'agire umano? L'uomo possiede nell'inconscio un fiuto per lo spirito del suo tempo, presagisce le sue possibilità e sente nel suo intimo l'incertezza dei fondamenti della morale contemporanea che non poggia più su una viva convinzione religiosa. Da ciò nasce gran parte dei conflitti etici della nostra epoca. L'impulso assetato di libertà va a cozzare contro la barriera cedevole della moralità: gli esseri umani soggetti a tentazioni, vogliono e al tempo stesso non vogliono. E poiché non vogliono e non possono pensare sino in fondo a quello che vogliono veramente, il loro conflitto è in gran parte inconscio e da ciò nasce la nevrosi. Quindi la nevrosi è, a nostro modo di vedere, strettamente legata al problema della nostra epoca e rappresenta in verità un tentativo fallito da parte dell'individuo di risolvere dentro di sé il problema generale. La nevrosi è una frattura con se stessi. Nella maggior parte delle persone il motivo della frattura è che la coscienza vorrebbe attenersi al suo ideale morale, l'inconscio invece tende verso il suo ideale immorale (nel senso attuale), che la coscienza vorrebbe continuamente negare. Persone di questo tipo sono quelle che vorrebbero apparire più oneste di quello che in effetti sono. Però il conflitto può essere anche opposto; ci sono persone che apparentemente si comportano in modo molto indecoroso e non esercitano la minima violenza su se stesse; in effetti si tratta però solo d'una apparenza peccaminosa, perché in fondo a loro esiste l'anima morale che è caduta nell'inconscio, proprio come per le persone morali è caduta nell'inconscio la natura immorale. (Gli estremi sono quindi da evitare, possibilmente, perché suscitano sempre il sospetto del contrario.) Avevamo bisogno di questa discussione generale per rendere un po' più comprensibile il concetto ai «conflitto erotico». Da qui parte la discussione da un lato della tecnica psicoanalitica, dall'altro del problema della terapia. Evidentemente, per quanto riguarda questa tecnica ci si pone la domanda: qual è la strada più breve e la migliore per arrivare alla conoscenza degli eventi inconsci del paziente? Il metodo originario era ipnotico, o un interrogatorio in stato di concentrazione ipnotica o la produzione spontanea di fantasie da parte del paziente (in stato d'ipnosi). Questo metodo viene occasionalmente ancora applicato, ma è primitivo e spesso insufficiente a paragone della tecnica attuale. Un secondo metodo nacque nella Clinica Psichiatrica di Zurigo, il cosiddetto metodo associativo1, la cui validità è essenzialmente teorico-sperimentale. Ne risulta un vasto, ma superficiale orientamento nel conflitto dell'inconscio («complesso»). Il metodo che si spinge più a fondo è quello dell'analisi dei sogni scoperta da Freud. Del sogno si può dire che da pietra scartata dai costruttori è diventato pietra angolare. Tuttavia il sogno, questo prodotto fuggevole e insignificante della nostra anima, solo in tempi moderni ha conosciuto un disprezzo così radicale. Prima aveva fama di rivelare il destino, di ammonire o consolare, d essere un messaggero degli dèi. Ora lo usiamo per farci rivelare l'inconscio, ci deve svelare i segreti nascosti della coscienza e lo fa in modo sorprendentemente esauriente. Dall'indagine analitica del sogno risultò che il sogno come lo sogniamo noi è solo una facciata, che non lascia indovinare nulla dell'interno della casa. Ma se noi, rispettando certe regole tecniche, facciamo parlare l'autore del sogno dei particolari del sogno stesso, emerge presto che le sue associazioni convergono in una certa direzione e verso certi argomenti che appaiono d'importanza personale e mostrano un significato nascosto del sogno che inizialmente non si sarebbe immaginato, che però, come risulta da accurato raffronto, è in rapporto molto raffinato e preciso colla facciata del sogno. Questo particolare complesso d'idee a cui fanno capo tutte le componenti del sogno è il conflitto che si cercava, in una certa forma determinata dalle circostanze. Il lato imbarazzante o incompatibile del conflitto è coperto o dissolto cosicché si può parlare d'un appagamento del desiderio; bisogna però subito aggiungere che i desideri realizzatisi in sogno apparentemente non sono i nostri, bensì si muovono in direzione opposta ai nostri desideri. Ad esempio una figlia ama teneramente la madre, ma sogna, con suo gran dolore, che la madre è morta. Ci sono innumerevoli sogni di questo tipo, in cui non sembra esserci traccia di un appagamento del desiderio e i nostri dotti critici incespicano costantemente su questo punto, perché ancora non effettuano nel sogno la semplice distinzione tra il suo contenuto manifesto e quello latente. Non bisogna cadere in quest'errore: il conflitto elaborato in sogno è inconscio, come pure il desiderio di soluzione che ne deriva. L'autrice del nostro sogno ha effettivamente il desiderio di allontanare la madre; espresso nella lingua dell'inconscio significa morte. Sappiamo che una determinata parte dell'inconscio contiene tutte quelle reminiscenze della memoria che sono andate perdute e inoltre tutti quegli impulsi infantili che non possono essere utilizzati nella vita adulta, cioè una serie di desideri infantili troppo sconsiderati. Si può dire che la maggior parte di ciò che ha origine dall'inconscio presenta un carattere infantile; e così anche questo desiderio, che in termini molto semplici si potrebbe esprimere così: «Vero papà che quando la mamma è morta tu mi sposerai?». Questa espressione infantile del desiderio rappresenta il surrogato d'un recente desiderio di sposarsi, che però all'autrice del sogno risulta imbarazzante per motivi (in questo caso) ancora da appurare. Quest'idea, o ancor più la serietà dell'intenzione corrispondente, è come si suol dire, «rimossa nell'inconscio» e si deve necessariamente esprimere lì, poiché i materiali che sono a disposizione dell'inconscio sono in gran parte reminiscenze infantili. Il sogno si occupa apparentemente di dettagli spesso del tutto sciocchi, così da farci un'impressione ridicola, oppure è talmente incomprensibile che possiamo al massimo meravigliarcene, per cui dobbiamo sempre superare dentro di noi una certa resistenza prima di accingerci seriamente a risolverne con paziente lavoro la confusa struttura. Se penetriamo finalmente il vero significato del sogno, ci troviamo nel bel mezzo dei segreti dell'autore del sogno e vediamo con stupore che, anche un sogno all'apparenza totalmente privo di senso, è pieno di significato e parla solamente di aspetti importanti e seri dell'anima. L'aver capito ciò induce in noi un po' più di rispetto per l'antica superstizione sul significato dei sogni, finora tenuta in nessun conto dalla nostra corrente razionalistica. Come dice Freud, l'analisi del sogno è la «via regia» all'inconscio; l'analisi del sogno ci introduce nei più profondi segreti personali, per cui nelle mani del medico e dell'educatore è uno strumento inestimabile. Gli attacchi dei nostri oppositori si indirizzano contro questo metodo anche con argomenti che derivano sostanzialmente (prescindendo dalle correnti minori di tipo personale) dall'influsso scolastico ancora molto forte del pensiero colto d'oggi. È proprio l'analisi dei sogni che scopre spietatamente la morale menzognera e l'apparenza ipocrita dell'uomo e gli mostra l'altro lato del suo carattere illuminandolo da tutti i lati; c'è da meravigliarsi se molti hanno l'impressione che si pestino loro i piedi? A questo proposito devo sempre pensare alla statua della bramosia terrena al duomo di Basilea, che davanti mostra un sorriso arcaicamente dolce, ma dietro è coperta da rospi e serpenti. L'analisi dei sogni rovescia l'oggetto e ne mostra l'altro lato. Si tratta d'una operazione dolorosa ma utilissima, che esige molto sia dal medico che dal paziente. La psicoanalisi intesa come tecnica terapeutica consta essenzialmente di numerose analisi dei sogni, poiché i sogni portano successivamente a galla, nel corso del trattamento, i contenuti dell'inconscio per esporli alla forza disinfettante della luce del giorno, riscoprendo anche elementi importanti creduti perduti. Stando così le cose c'è naturalmente da aspettarsi che per molte persone, che hanno accettato una certa immagine apparente di sé, la psicoanalisi è un supplizio, perché secondo l'antico principio mistico, «Liberati ai ciò che hai e allora riceverai!», devono prima di tutto abbandonare tutte le illusioni più care, per far sorgere dentro di sé qualcosa di più profondo, di più bello, più grande, perché solo grazie al mistero del sacrificio di sé si può di nuovo ritrovare se stessi. Sono proprio vecchie saggezze queste che ritornano alla luce nel trattamento psicoanalitico, ed è particolarmente curioso che la nostra attuale cultura così sviluppata abbia bisogno di questo tipo d'educazione psichica, un'educazione che sotto diversi punti di vista va paragonata alla tecnica di Socrate, anche se la psicoanalisi va molto più in profondità. Nel malato troviamo sempre un conflitto che, arrivati a un certo punto, dipende dai grandi problemi della società, cosicché, quando l'analisi è arrivata a quel punto, il conflitto apparentemente individuale del malato si rivela essere un conflitto generale del suo ambiente e del suo tempo. La nevrosi non è quindi nient'altro che un tentativo di soluzione individuale (non riuscito) d'un problema generale; e deve essere così, perché un problema generale non è una entità per sé, ma esiste solo nel cuore e nelle teste dei singoli uomini. La linea di ricerca di Freud ha dimostrato che al momento erotico o sessuale spetta un'importanza predominante nell'insorgere del conflitto patogeno. Su queste esperienze si basa la teoria sessuale della nevrosi di Freud. Secondo questa teoria ha luogo una collisione tra la tendenza conscia e il desiderio immorale, incompatibile e inconscio. Il desiderio inconscio è infantile, cioè un desiderio che risale allo stadio lontano della fanciullezza, il quale non si vuole più adattare al presente, per cui viene rimosso, e precisamente a causa dell'attuale morale. Per Freud si tratta essenzialmente di desideri sessuali rimossi che entrano in collisione colla nostra attuale morale sessuale. Il nevrotico ha in sé l'anima d'un bambino che mal sopporta le limitazioni arbitrarie di cui non capisce il senso; cerca di appropriarsi della morale, ma cade in una profonda lacerazione e nel disaccordo con se stesso; da un lato vuole reprimersi, dall'altro liberarsi — e questa lotta si chiama nevrosi. Se questo conflitto fosse chiaramente conscio in tutte le sue componenti non nascerebbero mai sintomi nevrotici; essi insorgono soltanto quando non si può vedere l'altra parte della propria esistenza e l'urgenza dei suoi problemi. Solo a queste condizioni nasce il sintomo: esso fa sì che quella parte dell'anima non riconosciuta possa esprimersi. Il sintomo è perciò un'espressione indiretta di desideri non riconosciuti che, se consci, entrerebbero fortemente in contrasto con le nostre convinzioni morali. Come già detto questa parte in ombra della psiche si sottrae alla coscienza, il malato non può venire a patti con essa, né correggerla, né abituarcisi o rinunciare ad essa, perché egli in realtà non è affatto in possesso degli impulsi inconsci; sono rimossi dalla gerarchia della psiche conscia, sono divenuti complessi autonomi, di cui ci si può di nuovo impossessare, anche se con grandi resistenze, attraverso l'analisi dell'inconscio. Ci sono molti pazienti che si vantano proprio della assenza di un conflitto erotico dentro di sé; assicurano che la questione sessuale è una sciocchezza, infatti essi non possederebbero assolutamente alcuna sessualità. Queste persone non vedono che in compenso la loro strada è ingombra d'altre cose d'origine sconosciuta, come umore isterico, vessazioni, nei confronti di se stessi e del prossimo, catarro nervoso allo stomaco, dolori qua e là, irritazione senza motivo e tutto il restante esercito di sintomi nervosi. Si è rimproverato alla psicoanalisi di liberare (per fortuna!) gli impulsi animaleschi rimossi dell'uomo, potendo così arrecare un danno imprevedibile. Da questo timore si desume con evidenza quanta poca fiducia sia riposta nell'efficacia degli odierni princìpi morali. Ci si comporta come se soltanto la morale trattenesse l'uomo dalla sfrenatezza: un principio regolatore molto più efficace è però la necessità, che pone limiti reali, i quali risultano molto più convincenti di qualsiasi principio morale. È vero che l'analisi libera gli istinti animaleschi, ma non, come interpretavano alcuni, per abbandonarli direttamente ad un'attività sfrenata, ma perché trovino un'utilizzazione più alta, per quanto è possibile per il singolo individuo e nella misura in cui egli richieda una tale utilizzazione («sublimata»), In ogni caso è sempre un vantaggio essere in pieno possesso della propria personalità, altrimenti le parti rimosse della personalità ostacolano altre sue componenti, e non quelle insignificanti, bensì proprio quelle più sensibili. Se però gli esseri umani vengono educati a considerare le bassezze della propria natura, c'è da sperare che in questo modo imparino ad amare e comprendere meglio anche i loro simili. Una diminuzione dell'ipocrisia e un aumento della tolleranza verso se stessi possono avere solo buone conseguenze ai fini della considerazione del nostro prossimo, perché gli uomini sono fin troppo inclini a estendere ai propri simili quella iniquità e violenza che esercitano su se stessi. Secondo la dottrina freudiana della rimozione, tuttavia, pare che siano solo gli uomini, per così dire, troppo moralisti a reprimere la natura istintiva immorale. L'uomo immorale, colui che vive la sua natura immorale senza freno, dovrebbe quindi essere completamente immune dalla nevrosi. Naturalmente, come insegna l'esperienza quotidiana, questo non è vero. Può essere altrettanto nevrotico dell'altro. Se lo analizziamo scopriamo che in lui l'onestà è stata semplicemente rimossa. Se quindi l'immorale è nevrotico, offre, secondo l'azzeccata formulazione di Nietzsche, l'immagine del «pallido criminale» che non è all'altezza delle sue azioni. Si potrebbe ritenere che in un caso come questo i residui rimossi d'onestà siano solo retaggi infantili e tradizionali che hanno imbrigliato senza necessità la natura istintuale e perciò siano da sradicare. Seguendo il principio «écrasez l'infâme» si approderebbe a una teoria totalmente edonistica. Ciò sarebbe naturalmente del tutto fantastico e insensato. Non bisogna infatti mai dimenticare — e ci rivolgiamo alla scuola freudiana — che la morale non è stata portata giù dal Sinai sotto forma di tavole e imposta agli uomini, bensì la morale è una funzione dell'anima umana, che è vecchia quanto l'umanità. La morale non viene imposta dall'esterno, ma esiste a priori dentro di noi: non la legge, ma l'essenza morale. Del resto c'è un punto di vista più morale della teoria edonistica? C'è un'idea della morale più eroica di questa? Per questo sta particolarmente a cuore all'eroico Nietzsche. Per naturale e innata vigliaccheria si dice: «Dio proteggimi dal godere la vita», e ci si crede particolarmente morali senza capire che per noi la teoria edonistica sarebbe soprattutto troppo dispendiosa, stancante, pericolosa e infine anche un po' troppo immorale, e questo concetto è legato per molte persone più al gusto che all’imperativo categorico. L'errore imperdonabile della teoria edonistica è di essere troppo eroica, troppo ideologica. Infatti prospera al meglio nei cervelli malati di Schwabing. Per l'immorale non c'è altro mezzo se non quello di accettare la sua correzione inconsciamente morale, e per l'uomo morale di confrontarsi per quanto possibile coi suoi demoni sotterranei. Non si può negare che i seguaci d'osservanza freudiana sono così convinti dell'importanza fondamentale ed esclusiva della sessualità nella nevrosi che hanno tratto coraggiosamente da ciò le dovute conseguenze e attaccato eroicamente la morale sessuale odierna. In questo settore vigono molte opinioni differenti. È però rilevante che il problema della morale sessuale venga oggi ampiamente discusso. Ciò è senza dubbio utile e necessario; infatti non abbiamo avuto finora alcuna morale sessuale, ma solo un'infima concezione barbarica priva di differenziazione. Come nel primo Medioevo venivano disprezzate le attività connesse al denaro, perché non c'era ancora una morale differenziata in modo cavilloso ma solo una morale globale, così c'è oggi soltanto una morale sessuale globale. Una ragazza che ha un figlio illegittimo è condannata e nessuno chiede se è o no una persona onesta. Una forma d'amore non autorizzata legalmente, è immorale a prescindere se si sviluppi tra persone degne o tra furfanti. Si è ancora ipnotizzati barbaricamente dal fatto e si dimenticano le persone, proprio come l'uomo del Medioevo nelle questioni di soldi non vedeva altro che l'oro splendente e avidamente desiderato, e quindi il diavolo. L'odierna morale sessuale è altrettanto incolta e barbara perché volge lo sguardo solo alla sessualità e non agli uomini e al loro modo d'agire. In effetti quindi l'attacco all'attuale morale sessuale rappresenta un'azione morale che obbliga a muoversi verso una concezione differenziata e veramente morale. Come già detto Freud vede il grande conflitto tra l'io e la natura istintuale principalmente sotto l'aspetto sessuale. Questo aspetto esiste effettivamente, ma la sua esistenza deve essere seguita da un grande punto interrogativo. Infatti ci si deve chiedere se quello che emerge sotto forma sessuale sia sempre, nella sua essenza, di carattere sessuale. Si può anche pensare che un impulso prenda le vesti di un altro. Freud stesso ha fornito osservazioni non poco convincenti, che dimostrano che molte azioni e aspirazioni umane in effetti non sono altro che espressioni d'imbarazzo un po' improprie, che non sono state prese in considerazione per rispetto reciproco, al posto di cose notevolmente più semplici. Nulla impedisce che anche certe cose estremamente elementari acquistino risalto al posto di adempimenti più necessari, ma più spiacevoli, con l'illusione che si tratti veramente solo della cosa elementare. La teoria sessuale è fino a un certo punto senz 'altro esatta, ma unilaterale. Sarebbe quindi sbagliato respingerla, come pure attribuirle una validità generale. L'altro punto di vista: la volontà di potenzaFinora abbiamo considerato il problema della nuova psicologia essenzialmente dal punto ai vista di Freud. Indubbiamente abbiamo individuato qualcosa con questo procedimento: qualcosa di vero, a cui il nostro orgoglio, la nostra coscienza di persone civilizzate forse dice di no, ma qualcosa dentro di noi dice di sì. Per molte persone c'è in questo argomento qualcosa d'irritante, che suscita contraddizione o addirittura paura, e che perciò non si vuole ammettere. Dire di sì a questo conflitto rappresenta qualcosa di terribile, infatti significa dire di sì all'istinto. Ci rendiamo conto di cosa comporta dire di sì all'istinto? Nietzsche voleva e insegnava proprio questo, e faceva sul serio. Con inconsueta passione ha sacrificato se stesso, tutta la sua vita, all'idea del superuomo, cioè all'idea dell'uomo che ubbidendo al suo istinto supera anche se stesso. E come si svolse la sua vita? Come lo stesso Nietzsche aveva profetizzato in Zarathustra nella premonitrice caduta mortale del funambolo, dell'uomo che non voleva essere «superato». Zarathustra dice all'uomo in punto di morte: «La tua anima sarà morta ancor prima del tuo corpo». E in seguito il nano dice a Zarathustra: «Oh, Zarathustra pietra di saggezza! Ti sei lanciato verso l'alto, ma ogni pietra che è stata lanciata è destinata a — cadere. — Sei condannato ad essere te stesso ed essere pietra: oh, Zarathustra, lontano hai lanciato la pietra — ma è su di te che ricadrà». Quando lui rivolse l'«ecce homo» a se stesso, era, come già al momento in cui nacque quest'espressione, troppo tardi e la crocifissione dell'anima cominciò ancor prima che il corpo fosse morto. La vita di chi insegnò a dire di sì all'istinto va esaminata in modo critico, per indagare gli effetti di questo insegnamento su colui che lo impartiva. Considerando la sua vita dobbiamo però dire che Nietzsche visse al di là dell'istinto, nell'aria rarefatta della «grandezza» eroica, alle cui vette poteva restare colla dieta più accurata, il clima più scelto e soprattutto con molti sonniferi — finché la tensione non distrusse il cervello. Parlava del dir di sì e visse il no. Il suo ribrezzo per l'uomo, l'animale uomo che vive d'istinto, era troppo grande. Non poteva ingoiare il rospo che spesso sognava e che temeva di dover mandar giù. Il leone di Zarathustra ruggiva a tutti gli uomini «superiori» che volevano condurre una vita come la sua, respingendoli di nuovo nella caverna dell'inconscio. Perciò la sua vita non ci convince del suo insegnamento. Infatti l'uomo «superiore» vuole anche poter dormire senza sonnifero, vuole vivere a Naumburg e Basilea, nonostante «la nebbia e l'ombra», vuole moglie e discendenza, vuole considerazione e stima nel branco, vuole innumerevoli cose ordinarie, non ultimo il filisteismo. Nietzsche non vide quest'istinto, e cioè l'istinto animalesco. Ma di cosa visse se non visse di quest'istinto? Si può veramente rimproverare a Nietzsche di aver detto praticamente no al suo istinto? Egli non sarebbe certo d'accordo. Sì, potrebbe perfino dimostrare — e senza difficoltà — di aver vissuto il suo istinto nel senso più alto. Ma come è possibile, ci domandiamo noi con stupore, che la natura istintuale dell'uomo possa condurlo proprio all'isolamento, all'assoluta solitudine, a vivere al di fuori del gregge, difendendosi col disprezzo. Si pensava che l'istinto riunisse, accoppiasse, conducesse al piacere e al benessere, alla soddisfazione di tutti i desideri sensuali. Abbiamo però dimenticato completamente che questa è solo una delle possibili direzioni dell'istinto. Non c'è solo l'istinto di conservazione (istinto sessuale), bensì anche l'istinto di autoconservazione (istinto dell'Io). Evidentemente Nietzsche parla di questo secondo istinto, cioè della volontà di potenza. Tutto ciò che è istintuale deriva per lui dalla volontà di potenza: un grandissimo errore, un equivoco della biologia, uno sbaglio della sua natura nevrotica decadente, se lo si considera dal punto di vista della psicologia sessuale freudiana. Infatti a ogni seguace della psicologia sessuale riuscirà facile dimostrare che tutta la grande tensione e l'eroismo, nella concezione di Nietzsche del mondo e della vita, non sono altro che una conseguenza della rimozione e del disconoscimento dell'«istinto», e cioè di quell'istinto che questa psicologia considera fondamentale. Arriviamo ora al problema del vedere, o per meglio dire, dei diversi occhiali coi quali si osserva il mondo. Non è ammissibile considerare impropria una vita come quella di Nietzsche, vissuta con rara coerenza fino alle sue fatali conseguenze, Seguendo l'istinto di potenza che ne è alla base, altrimenti ci si abbandonerebbe allo stesso ingiusto pregiudizio che Nietzsche espresse su Wagner, che era ai suoi antipodi: «In lui tutto è falso”, ciò che è vero viene nascosto o adornato. È un attore, in ogni senso, buono e cattivo, del termine». Come mai questo giudizio? Wagner è appunto un rappresentante di quell altro istinto fondamentale che Nietzsche ignorò e su cui si basa la psicologia freudiana. Se indaghiamo in Freud per sapere se gli era noto quell'altro istinto, l'istinto di potenza, troviamo che Freud lo ha preso in considerazione sotto il nome di «istinto dell'Io». Ma nella sua psicologia questi «istinti dell'io» vivono un'esistenza misera e marginale, rispetto al vasto, fin troppo vasto sviluppo dell'elemento sessuale. In effetti la natura umana è sede di una terribile e infinita lotta tra il principio dell'Io e il principio dell'istinto informe; da una parte l'Io tutto barriere, dall'altra l'istinto senza limiti, ed entrambi i princìpi hanno uguale potenza. In un certo senso l'uomo può considerarsi fortunato di essere conscio d'un solo istinto, e quindi è anche intelligente da parte sua difendersi dal conoscere l'altro istinto. Ma quando conosce l'altro istinto per lui è già finita. L'uomo cade allora nel conflitto di Faust. Goethe ci ha mostrato nel Faust (I parte) cosa significa l'accettazione dell'istinto e nella II parte cosa significa l'accettazione dell'Io e del suo terribile mondo inconscio. Davanti a questa scoperta tutto ciò che in noi è insignificante, meschino e vile si defila con la coda tra le gambe — e c'è anche un buon mezzo per farlo: infatti si scopre che l'«altra cosa» dentro di noi è un «altro», cioè una persona vera e propria che pensa, agisce, sente, persegue tutte quelle cose che sono riprovevoli e da disprezzare. Così una volta acchiappato lo spauracchio si comincia con soddisfazione a combatterlo. Da ciò nascono quelle idiosincrasie croniche di cui la storia dei costumi ci fornisce alcuni esempi. Un esempio particolarmente chiaro, come già si è detto, è «Nietzsche contro Wagner, contro Paolo», ecc. Ma la vita quotidiana pullula di questi casi. Con questo mezzo ingegnoso l'uomo si salva dalla catastrofe faustiana, per far fronte alla quale gli mancano il coraggio e la forza. Un uomo vero, completo, sa che il suo più acerrimo contendente, anzi un'intera schiera, non equivale affatto quell'unico terribile avversario, cioè l'«altro» dentro di sé, che «gli abita il petto». Nietzsche aveva Wagner dentro di sé, per questo gli invidiò il Parsifal, ma ancor peggio, lui, Saulo, aveva anche Paolo dentro di sé. Perciò Nietzsche diventò uno stigmatizzato dello spirito e dovette, come Saulo, vivere la cristificazione quando l'«altro» gli impartì l'«ecce homo». Chi «crollò davanti alla croce»? Wagner o Nietzsche? Destino volle che proprio uno dei primi allievi di Freud, Adler creò una visione della natura della nevrosi fondata esclusivamente sul principio di potenza. È interessante e perfino eccitante vedere come le stesse cose possano apparire in modo completamente diverso se viste da punti di vista opposti. Per anticipare il contrasto principale vorrei subito dire che in Freud tutto è conseguenza strettamente causale di fatti precedenti, in Adler invece tutto è adattamento con causalità finale. Prendiamo un esempio semplice: una giovane donna comincia ad accusare attacchi d'angoscia. Di notte si sveglia dagli incubi con un grido straziante, non riesce a tranquillizzarsi, si aggrappa a suo marito, lo scongiura di non lasciarla, vuole continuamente che lui le dichiari il suo amore, ecc. Si sviluppa pian piano un'asma nervosa che si manifesta con attacchi anche diurni. L'analisi di stretta osservanza freudiana cerca di penetrare subito la causalità interna del quadro morboso: cosa contenevano i sogni angosciosi iniziali? L'attaccavano tori selvaggi, leoni, tigri, uomini cattivi. Cosa viene in mente alla paziente a questo proposito? Una storia che le successe quando era ancora nubile. Era in una località di cura in montagna. Là si giocava molto a tennis e si facevano le solite conoscenze. C'era un giovanotto italiano che giocava particolarmente bene e la sera era bravo nel metter mano alla chitarra. Nacque un innocuo flirt che li portò una volta a fare una passeggiata al chiaro di luna. In questa occasione proruppe «inaspettatamente» il temperamento italiano, con grande spavento della ignara signora. «Lui la guardò» con uno sguardo che lei non potè mai dimenticare. Questo sguardo la perseguita ancora, fin nei sogni, perfino gli animali selvaggi che la perseguitano guardano allo stesso modo. Ma questo sguardo nasce veramente soltanto dal giovanotto italiano? A questo proposito ci illumina un'altra reminiscenza: la paziente aveva perso il padre in un incidente all'età di 14 anni. Il padre era un uomo di mondo e spesso in viaggio. Non molto tempo prima della sua morte la portò con sé a Parigi dove visitarono tra l'altro anche le «Folies Bergères». Lì successe una cosa che suscitò in lei un'impressione indelebile: mentre lasciavano il teatro improvvisamente una donna truccata e di facili costumi si buttò addosso al padre in modo incredibilmente sfrontato. Lei guardò spaventata suo padre per vedere cosa facesse — e vide appunto quello sguardo, quel fuoco animalesco, nei suoi occhi. Questo alcunché d'in- spiegabile la perseguitava allora giorno e notte. Da quel momento il rapporto con suo padre fu diverso. Ora era irritata e piena d'umori velenosi, ora lo amava con trasporto; poi vennero improvvisamente delle crisi di pianto immotivate e per un periodo, quando suo padre era a casa, fu tormentata a tavola, quando il cibo le andava disgustosamente di traverso, da apparenti attacchi di soffocamento, seguiti di solito da 1-2 giorni in cui le mancava la voce. Alla notizia dell'improvvisa morte del padre fu assalita da un dolore incontenibile, che provocò convulsioni isteriche di riso. Poi però iniziò presto a tranquillizzarsi, le sue condizioni migliorarono velocemente e i sintomi nevrotici sparirono del tutto. Un velo di oblio si posò sul passato. Solo l'esperienza coll'italiano creò in lei un'agitazione per cui provò paura. A quell'epoca si distaccò bruscamente dal giovanotto. Alcuni anni più tardi si sposò. La nevrosi cominciò solo dopo il secondo figlio, nel momento in cui scoprì che suo marito provava un certo tenero interesse per un'altra donna. In questa storia vi sono molti elementi incerti: dov'è la madre ad esempio? Della madre va detto che era molto nervosa e provò tutte le possibili case di cura e le possibili terapie. Soffriva anche lei di asma nervosa e di sintomi d'angoscia. I coniugi erano molto distanti, stando a quanto si ricordava la paziente. La madre non capiva bene il padre. La paziente aveva sempre l'impressione di capirlo meglio. Era infatti, dichiaratamente, il tesoro del padre e di conseguenza il suo atteggiamento interiore verso la madre era freddo. Questi accenni dovrebbero bastare per valutare il decorso della malattia. Dietro gli attuali sintomi ci sono delle fantasie che in primo luogo si ricollegano all'esperienza con l'italiano, ma in senso più ampio rimandano chiaramente al padre, il cui infelice matrimonio offrì precocemente alla figlioletta l'occasione di conquistare una posizione che in verità doveva essere ricoperta dalla madre. Dietro questa conquista si cela naturalmente la fantasia di essere la donna veramente adatta a suo padre. Il primo attacco di nevrosi scoppia nel momento in cui questa fantasia subisce un duro colpo, probabilmente lo stesso che anche la madre aveva subito (la qual cosa era tuttavia ignota alla bambina). I sintomi si possono facilmente interpretare come espressione d'un amore deluso e respinto. Il sintomo del cibo che va di traverso si basa sull'impressione di stretta alla gola, che è una nota manifestazione che accompagna forti affetti che non si riesce a «ingoiare» del tutto. (Le metafore linguistiche si riferiscono di frequente, com'è noto, a simili fenomeni fisiologici). Quando il padre morì la sua coscienza fu turbata a morte; il suo inconscio però rideva, proprio come Till Eulenspiegel, che era turbato quando le cose andavano male, ma era di buon umore quando tornavano con sforzo ad andare meglio, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Se il padre era a casa, lei era turbata e malata; se lui era via si sentiva molto meglio, come accade a innumerevoli mariti e mogli, che ancora si nascondono vicendevolmente il dolce segreto di non essere poi così assolutamente indispensabili l'un l'altro. Che l'inconscio allora se la ridesse in certo qual modo a ragione, lo dimostrò la completa salute del periodo successivo. Le riuscì di far sparire dalla circolazione tutto quello che era successo prima. Solo l'esperienza con l'italiano minacciò di far riemergere il mondo sotterraneo. Ma con rapida mossa chiuse le porte e rimase sana fin quando il drago della nevrosi arrivò strisciando, quando lei si riteneva già completamente al sicuro nella condizione, per così dire, compiuta ai moglie e di madre. La psicologia sessuale dice: il motivo della nevrosi consiste nel fatto che la malata in realtà non si è ancora liberata del padre e perciò riporta a galla quell'esperienza quando scopre nell'italiano quell'alcunché di misterioso che già nel padre le aveva provocato un'impressione sconvolgente. Questi ricordi furono naturalmente ai nuovo richiamati in vita a causa dell'analoga esperienza col marito che fu la causa scatenante della nevrosi. Si potrebbe quindi dire che il contenuto e la causa della nevrosi stanno nel conflitto tra il rapporto fantastico erotico-infantile col padre e l'amore per il marito. Se però ora consideriamo lo stesso quadro clinico dal punto di vista dell'«altro» impulso, cioè la volontà di potenza, le cose hanno tutto un altro aspetto: il difficile matrimonio dei genitori fu un'ottima occasione per l'istinto di potenza infantile. L'istinto di potenza vuole infatti che l'Io si imponga a tutti i costi, debba esso seguire un cammino rettilineo o contorto. L'«integrità della personalità» deve essere mantenuta in ogni caso. A ogni tentativo, sia pure apparente, delle persone circostanti di tentare una pur lieve sottomissione del soggetto, si risponde con «protesta virile», secondo le parole di Adler. La delusione della madre e il suo ritirarsi nella nevrosi creò quindi un'occasione estremamente gradita per esercitare la sua potenza e imporsi. Un comportamento amorevole ed eccellente è notoriamente, dal punto di vista dell'istinto di potenza, un ottimo mezzo per raggiungere lo scopo. Un comportamento virtuoso serve non di rado ad estorcere il riconoscimento altrui. Già da bambina sapeva assicurarsi col padre un grande vantaggio per mezzo d'un comportamento particolarmente cortese e gentile e poi scavalcare la madre; non per amore verso il padre, bensì l'amore era un buon mezzo per imporsi. Le convulsioni di riso alla morte del padre sono un'eloquente dimostrazione. Si è portati a considerare una simile dichiarazione come una terribile svalutazione dell'amore, se non una malevola insinuazione — ma riflettiamo un momento e guardiamo il mondo per quello che è. Non abbiamo mai osservato le innumerevoli persone che amano e credono nel loro amore fin quando hanno raggiunto il loro scopo e che poi si allontanano come se non avessero mai amato? E infine, non si comporta la natura stessa nel medesimo modo? È possibile un amore «privo di scopi»? Se sì, appartiene a quelle somme virtù umane che sono certo molto rare. Forse abbiamo in generale anche la tendenza a riflettere il meno possibile sullo scopo dell'amore; potremmo altrimenti fare delle scoperte che farebbero apparire il valore del nostro amore sotto una luce meno favorevole. Sminuire il valore degli istinti fondamentali rappresenta un pericolo quasi mortale, forse in particolare oggi che sembra rimanercene solo una piccola parte. La paziente ebbe una convulsione di riso alla morte del padre — si era imposta definitivamente. Era una convulsione di riso isterica, cioè un sintomo psicogeno nato da motivi inconsci e non dalla sfera dell'Io conscio. Questa è una differenza da non sottovalutare e che fa comprendere subito come e donde nascano le virtù umane. Il loro contrario conduce all'inferno, e cioè espresso in termini moderni: nell'inconscio, dove si raccolgono da tempo le componenti contrarie delle nostre virtù consce. La virtù non vuole perciò saperne dell'inconscio, è addirittura un culmine d'astuzia da parte sua l'affermare che non esiste affatto alcun inconscio. Ma purtroppo succede a noi tutti come a Frate Medardo negli Elisir del diavolo di E. T.A. Hoffmann: esiste da qualche parte un fratello sinistro e terribile, la nostra controparte in carne e ossa, legata a noi da vincoli di sangue, che contiene e accumula malignamente tutto quello che noi molto volentieri faremmo sparire sotto il tavolo. Il primo insorgere della nevrosi nella nostra paziente ebbe luogo nel momento in cui si accorse del fatto che c'era qualcosa in suo padre che lei non dominava. E allora cominciò a capire a cosa serviva la nevrosi della madre: quando ci si scontra con qualcosa che non si può superare né con la ragione, né col fascino, c'è ancora un espediente, a lei ancora ignoto, ma che la madre aveva già scoperto: la nevrosi. Perciò succede d'ora in poi che lei imita la nevrosi della madre. Ma, ci si domanderà stupefatti, a cosa serve la nevrosi? Che cosa procura? Chi ha nella cerchia delle persone vicine un caso manifesto di nevrosi, sa cosa «procura» una nevrosi. Non c'è mezzo migliore d'una nevrosi eclatante per tirannizzare un'intera casa. Specialmente condizioni di cuore, attacchi di soffocamento e crisi d'ogni tipo ottengono un effetto enorme, difficilmente superabile. Si scatenano torrenti di compassione, l'angoscia sublime di genitori sinceramente preoccupati, un andirivieni di servitori, telefonate, dottori che accorrono, diagnosi difficili, approfondite analisi, lunghe cure, notevoli spese, e in mezzo a tutto questo fracasso sta l'innocente malato, a cui si è perfino infinitamente grati se ha superato le «crisi». La piccola scoprì questo «arrangiarsi» insuperabile (per usare l'espressione di Adler) e lo usò con successo ogni qual volta era presente il padre. Divenne superfluo quando morì il padre perché ormai si era definitivamente imposta. Si sbarazzò velocemente dell'italiano quando questi sottolineò troppo la femminilità della paziente tirando fuori al momento opportuno la sua virilità. Quando però emerse un'adatta possibilità di matrimonio, allora amò e si adattò senza brontolìi al ruolo degno di compassione di regina della casa. Tutto andò per il meglio fin quando durò la sua ammirata superiorità. Ma quando il marito mostrò un piccolo interesse all'esterno, allora dovette nuovamente ricorrere come in precedenza a quell'«arrangiarsi» così efficace, cioè all'uso indiretto della forza, perché si era scontrata con quel qualcosa, questa volta col marito, che già nel rapporto col padre si era sottratto al suo dominio. Così si presenta la situazione se la si esamina dal punto di vista della psicologia della potenza. Temo che il lettore si senta come quel cadì di fronte al quale parlò prima l'avvocato dell' una parte. Quando ebbe terminato il cadì disse: «Hai parlato bene, vedo che hai ragione». Poi parlò l'avvocato dell'altra parte e, quando questi ebbe finito, il cadì si grattò dietro l'orecchio e disse: «Hai parlato bene, vedo che anche tu hai ragione». E indubbio che l'istinto di potenza svolga un ruolo straordinario. È vero che i sintomi o complessi nevrotici sono anche forme raffinate d'«arrangiarsi», che realizzano spietatamente i loro scopi con incredibile pervicacia e con un'astuzia senza pari. La nevrosi è orientata in senso finalistico. Con questa dimostrazione Adler si è guadagnato un notevole merito. Quale dei due punti di vista ha ragione? Questa domanda si può rivelare un vero rompicapo. Le due spiegazioni non si possono sovrapporre perché sono totalmente contraddittorie. In un caso l'elemento principale e determinante è l'amore e il suo destino, nell'altro è la potenza dell'Io. Nel primo caso l'Io è semplicemente una specie di appendice dell'istinto sessuale, nel secondo caso l'amore è solo un mezzo per imporsi. Chi ha a cuore la potenza dell'Io si ribella contro la prima teoria, chi invece ha a cuore l'amore non potrà mai accettare la seconda teoria. I due tipi psicologiciA questo punto del problema si inseriscono le nostre nuove ricerche. Abbiamo infatti scoperto che ci sono in primo luogo due tipi di psicologia umana. La funzione fondamentale dell'uno è il sentire sensoriale, quella dell'altro il pensare. L'uno si immedesima nell'oggetto, l'altro ci riflette su. L'uno si adegua emotivamente all’ambiente e riflette in seguito, l'altro si adegua attraverso la comprensione frutto di ragionamento e procedimento. Quello che si immedesima esce in certo qual modo al di fuori di sé verso l'oggetto, l'altro per così dire si ritrae dall'oggetto o ci si ferma davanti a riflettere. Il primo si definisce tipo estroverso, perché in certo qual modo si rivolge all'esterno verso l'oggetto, il secondo viene definito tipo introverso, perché per così dire si distacca dall'oggetto, si ritira in se stesso e riflette sull'oggetto. Con queste osservazioni si forniscono naturalmente soltanto i tratti più grossolani dei due tipi. Ma già da questa superficiale descrizione si riconosce il contrasto di tipo nelle due teorie che sono state discusse in precedenza. La teoria sessuale è una teoria concepita dal punto di vista del sentimento, la teoria della potenza parte invece dal punto di vista del pensiero, perché all'estroverso sta sempre a cuore il sentire possibilmente legato all'oggetto, all'introverso invece l'Io pensante possibilmente staccato dall'oggetto. Con ciò si dissolvono le contraddizioni inconciliabili delle due teorie, in quanto entrambe le teorie sono prodotti d'una psicologia unilaterale. Un simile contrasto di tipi lo troviamo in Nietzsche e Wagner. L'equivoco tra i due sta nel tipico contrasto delle loro psicologie. Quello che ha il massimo valore per l'uno, è messa in scena e falsità fino al midollo per l'altro. Entrambi si sminuiscono vicendevolmente. Se applichiamo la teoria sessuale a un estroverso funziona, ma se l'applichiamo a un introverso, maltrattiamo e violentiamo la sua psicologia. Lo stesso vale per il caso opposto. Considerando che le due teorie abbiano un'esattezza relativa, si spiega come ognuna abbia i suoi casi a dimostrazione della propria esattezza. Per quanto riguarda il resto che non funziona, beh — ogni regola ha la sua eccezione. Avendo compreso ciò, nacque anche la necessità di superare il contrasto e di creare una teoria, che non soddisfacesse semplicemente l'uno o l'altro, ma entrambi allo stesso tempo. A questo scopo è indispensabile una critica di entrambe le teorie esposte. Il lettore si sarà accorto, anche se è un profano in questo campo, che entrambe le teorie, nonostante la loro esattezza, presentano un aspetto molto spiacevole, che non deve in nessun caso gravare sulla scienza. La teoria sessuale è antiestetica e intellettualmente poco soddisfacente, la teoria della potenza è decisamente velenosa. Entrambe le teorie sono capaci di attribuire nel modo più doloroso un ideale di grande tensione, un atteggiamento eroico, un patos o una profonda convinzione a una realtà banale, se le si applica a cose del genere. In verità non le si dovrebbe applicare a cose del genere, perché entrambe le teorie sono in effetti strumenti terapeutici e fanno parte dell'attrezzatura del medico, che taglia col bisturi affilato e spietato ciò che è malato e dannoso, come voleva anche Nietzsche colla sua critica distruttiva degli ideali, che considerava escrescenze malefiche dell'anima dell'umanità (talvolta lo sono anche). In mano a un buon medico, un vero conoscitore della psiche umana, che — per dirla con Nietzsche — ha «sensibilità per le sfumature», e se applicate alla parte veramente malata della psiche, entrambe le teorie sono dei mezzi cauterizzanti curativi, giovevoli se in dosi adatte al singolo caso, ma dannose e pericolose in mano a chi non sa misurare e dosare. Sono metodi critici che, come ogni critica, procurano beneficio là dove si può e si deve distruggere, annullare, ridurre, ma procurano danni dove è invece necessario costruire. Si potrebbe quindi sorvolare sulle due teorie senza descriverle, nella misura in cui rimanessero affidate, come dei veleni medicinali, alla mano sicura del dottore. Ma destino vuole che non rimangano a disposizione del medico competente. Innanzi tutto sono divenute note al pubblico medico, e poiché ogni medico generico ha, nella sua clientela, una certa percentuale di nevrosi e quindi è più o meno costretto a cercarsi una cura adatta, allora si impossessa anche del diffìcile metodo psicoanalitico, inizialmente senza competenza. Infatti dove avrebbe dovuto imparare i segreti dell'anima umana? Certo non attraverso i suoi studi accademici, perché quel poco di psichiatria che impara per l'esame basta appena a fargli riconoscere i sintomi dei più frequenti disturbi psichici, ma non è lontanamente sufficiente ad aprirgli la conoscenza della psiche umana. È quindi praticamente impreparato ad applicare un tale metodo. E’ necessaria infatti una non comune conoscenza della psiche per poter usare vantaggiosamente questi mezzi cauterizzanti. Bisogna essere in grado di distinguere ciò che è malato e inutile da ciò che è prezioso e da conservare. Questa è una delle cose più difficili. Chi si voglia fare un'esatta idea di come un medico che flirta colla psicologia si possa irresponsabilmente sbagliare sulla base d'un pregiudizio gretto e pseudo- scientifico, prenda in mano lo scritto di Moebius su Nietzsche o i diversi scritti «psichiatrici» sul «caso» di Cristo — non si esiterà a gridare «tre volte sventurato» al paziente cui è spettata una tale «comprensione». Poi la conoscenza della psicoanalisi, con gran rincrescimento della medicina, che però non se n'è interessata, è passata in mano ai pedagoghi. E con ragione: perché è in effetti un metodo umanistico ed educativo, se viene trattata e intesa nel modo giusto. Tuttavia io non consiglierei mai di usare la pura analisi sessuale freudiana come unico metodo educativo. Si potrebbe creare un grosso danno a causa della sua unilateralità. Per rendere adatta a scopi educativi la psicoanalisi originaria, c'è bisogno di tutti quei cambiamenti apportati dal lavoro degli ultimi anni, cioè l'ampliamento del metodo fino a creare una teoria psicologica generale. Entrambe le teorie di cui ho parlato sopra non sono però teorie generali, bensì strumenti cauterizzanti da utilizzare per così dire «localmente», poiché sono distruttivi e riduttivi. Dicono a ogni cosa: «non sei nient'altro che...». Spiegano al malato che 1 suoi sintomi hanno una certa provenienza e non sono altro che questo e quello. Sarebbe molto ingiusto voler affermare che questa riduzione nel caso in questione sia sbagliata, ma sollevata al grado di concezione generale della natura d'una psiche malata, come pure d'una sana, una teoria riduttiva da sola è impossibile. Perché la psiche umana, sia essa malata o sana, non può essere spiegata in modo semplicemente riduttivo. Certo la sessualità è sempre e ovunque presente, certamente l'istinto di potenza pervade ogni vetta e profondità dell'anima, ma per conto mio l'anima non è semplicemente l’una o l'altra o tutte e due insieme, ma anche quello che essa ha creato e creerà da queste due componenti. Si è capita una persona solo a metà se si sa da cosa nascono tutte le sue caratteristiche. Se dipendesse solo da ciò, una persona potrebbe essere già bella e morta. Ma in quanto essere vivente, questa persona non risulta completamente capita, perché la vita non a solo un passato e non è spiegata se si riduce il presente al passato. La vita ha anche un futuro e il presente risulta compreso solo quando possiamo aggiungere alla conoscenza del passato anche i primi segni del futuro. Questo vale per ogni espressione umana psicologica, anche per i sintomi di malattia. I sintomi della nevrosi non sono infatti solo conseguenze di cause precedenti, si tratti di «sessualità infantile» o di infantile istinto di potenza, bensì sono anche tentativi di effettuare una nuova sintesi della vita. Ma bisogna aggiungere subito che si tratta di tentativi non riusciti, che nondimeno rappresentano dei tentativi con un nocciolo di valore e significato. Sono semi che si sono sviluppati male perché le condizioni naturali interne ed esterne erano sfavorevoli. Il lettore si chiederà: quale può mai essere il valore e il senso d'una nevrosi, questo tormento inutile e spiacevole dell'umanità? Essere nervoso — a cosa può servire? La risposta potrebbe cercarsi in questa analogia: il buon Dio ha creato le mosche e gli altri parassiti affinché l'uomo si eserciti nell'utile virtù della pazienza. Quanto stupida è questa idea dal punto di vista delle scienze naturali, tanto intelligente può esserlo dal punto di vista delle psicologia, se noi in questo caso sostituiamo «parassiti» con «sintomi nervosi». Lo stesso Nietzsche, che come nessun altro sdegnava le idee stupide e banali, ha più volte riconosciuto ciò che doveva alla sua malattia. Ho visto più d'una persona che deve la sua utilità e la sua qualificazione esistenziale a una nevrosi, che ha impedito tutte le sciocchezze determinanti della sua vita e lo ha costretto a un'esistenza che ha fatto sviluppare i suoi semi preziosi, che sarebbero tutti morti se la nevrosi con presa ferrea non avesse messo l'uomo al posto che gli spettava. Ci sono appunto persone che hanno nell'inconscio il senso della loro vita, il loro vero significato, e nella coscienza tutto quello che è per loro seduzione e allontanamento dalla retta via. Per altre persone è il contrario. Per loro anche la nevrosi ha un altro significato. In tali casi c'è una notevole riduzione, negli altri casi invece no. Il lettore sarà ora propenso ad ammettere la possibilità d'un tale significato della nevrosi in certi casi, ma sarà pronto a negare una funzionalità profonda e ingegnosa di questa malattia in rutti i banali casi quotidiani. Per esempio cosa può contenere di prezioso la nevrosi nel caso summenzionato di asma e stati d'angoscia isterica? Ammetto che qui il valore non è a portata di mano, particolarmente se si osserva il caso dal punto di vista d'una teoria riduttiva, cioè dal punto di vista della «chronique scandaleuse» d'uno sviluppo psicologico individuale. Entrambe le teorie discusse finora hanno in comune, a nostro modo di vedere, che scoprono spietatamente nell'uomo tutto ciò che è senza valore. Sono teorie, o per meglio dire ipotesi, che ci spiegano in cosa consista la causa della malattia. Si occupano conseguentemente non dei valori d'una persona, bensì dei suoi non valori, che emergono sotto forma di disturbo. Da questa angolazione ci si può riconciliare con entrambi i punti di vista. Un «valore» è una possibilità attraverso cui l'energia può arrivare ad esprimersi. Ma nella misura in cui un non valore è una possibilità attraverso cui l'energia può trovare espressione, cosa che per esempio possiamo notare molto chiaramente nelle notevoli manifestazioni d'energia della nevrosi, è in effetti anche un valore, ma di un tipo che induce manifestazioni d'energia inutili e dannose. L'energia in sé non è infatti né buona né cattiva, né utile né dannosa, né preziosa né inutile, bensì indifferente, poiché tutto dipende dalla forma in cui l'energia penetra. La forma dà all'energia la qualità. D'altro canto la semplice forma senza energia è altrettanto indifferente. Perché si crei un vero valore è necessaria quindi da un lato l'energia, dall'altro la forma col suo valore prezioso. Nella nevrosi l'energia psichica si trova indubbiamente in una forma scadente e non utilizzabile. Entrambe le teorie discusse in precedenza servono ad annullare questa forma di energia scadente. Agiscono sulla parte come mezzi cauterizzanti. In questo modo otteniamo energia libera, ma indifferente. Finora ha dominato la convinzione che il paziente possa disporre consciamente di questa nuova energia acquisita, così da poterla utilizzare a suo piacere. Poiché si credeva che l'energia non fosse altro che forza motrice d'origine sessuale, si parlava di un suo uso «sublimato», nella convinzione che per il paziente fosse senz'altro possibile trasferire l'energia considerata sessuale in una «sublimazione», cioè in un'applicazione non sessuale, per esempio nell'esercitare un'arte o una qualunque altra occupazione valida e utile. Secondo questa concezione il paziente aveva la possibilità di decidere arbitrariamente o per inclinazione in che campo dovesse essere sublimata la sua energia. Si può ammettere che questa concezione abbia una certa validità, in quanto l'uomo è in grado di assegnare alla sua vita una certa direzione in cui debba muoversi. Sappiamo però che non esiste nessuna preveggenza o saggezza umana che ci possa mettere in grado di dare alla nostra vita una direzione predeterminata, tranne che per piccoli tratti. Il destino ci sta di fronte confuso e sovrabbondante di possibilità, e tuttavia solo una di queste molte possibilità è per noi la strada giusta. Chi potrebbe avere l'ardire, in base alla conoscenza del proprio carattere, per quanto è dato all'uomo di sapere, di decidere in anticipo quell'unica possibilità? Certo con la volontà si può ottenere molto. È pero del tutto sbagliato, facendo riferimento al destino di certe personalità dalla volontà particolarmente forte, voler sottomettere a ogni costo anche il proprio destino alla volontà. La volontà è una funzione guidata dalla riflessione; dipende quindi dalla natura della riflessione. La nostra riflessione, se è veramente tale, deve essere razionale, cioè basata sul raziocinio. È mai stato dimostrato o si potrà mai dimostrare che la vita e il destino vadano d'accordo con la nostra ragione umana, cioè che siano altrettanto razionali? Al contrario abbiamo fondati motivi per ritenere che siano anch'essi irrazionali, in altre parole che abbiano le loro radici, in ultima analisi, al di là della ragione. L'irrazionalità del processo generale si evidenzia nella cosiddetta casualità, che dobbiamo naturalmente negare, perché non possiamo pensare a priori a nessun processo che non sia determinato in modo causale e necessario, e che conseguentemente non può essere affatto casuale. Ma di fatto la casualità è dappertutto e in modo così appariscente che potremmo mettere da parte la nostra filosofìa causale. Per questo la ragione e la volontà fondata sulla ragione possono valere per un breve momento. Quanto più estendiamo questa direzione scelta razionalmente, tanto più possiamo essere sicuri di escludere la possibilità di vita irrazionale, che però ha altrettanto diritto ad essere vissuta; danneggiamo addirittura noi stessi perché con una direzione troppo rigida riduciamo la ricchezza delle possibilità casuali. È stato certamente di grande utilità per l'uomo essere in grado di dare una direzione alla sua vita. Si può affermare a buon diritto che il raggiungimento della ragione sia la più grande conquista dell'umanità. Ma non è detto che continuerà o debba continuare così in tutti i casi. L'attuale terribile catastrofe della guerra mondiale ha mandato a monte anche i piani del razionalista più ottimista della civiltà. Nel 1913 Ostwald scriveva queste parole: «Il mondo intero è d'accordo che l'attuale stato di pace armata è insostenibile e sta gradualmente diventando impossibile. Esige dalle singole nazioni enormi sacrifici che superano decisamente le spese a scopo culturale, senza raggiungere una qualsivoglia utilità positiva. Se quindi l'umanità trovasse il modo di eliminare questi armamenti per guerre che non cominciano mai, questa immobilizzazione di una notevole parte della nazione nell'età più poderosa e produttiva per le esercitazioni belliche e tutti gli altri innumerevoli danni provocati dall'attuale situazione, allora ne risulterebbe un così enorme risparmio d'energia che da quel momento in poi ci si dovrebbe aspettare un'insospettata fioritura nello sviluppo della civiltà. Di tutti i possibili mezzi per dirimere dei contrasti di volontà, la guerra, come la lotta personale, è il più vecchio e proprio per questo il più inadeguato, quello che comporta la maggiore dispersione d'energia. La completa eliminazione della guerra potenziale come di quella attuale rientra completamente nella logica dell'imperativo energetico ed è uno dei più importanti scopi culturali dei nostri giorni». L'irrazionalità del destino non ha però voluto ciò che auspicava la razionalità dei pensatori ben intenzionati; non si è accontentata di usare le armi e i soldati ammassati, no, ha voluto molto di più: una mostruosa, folle devastazione, un eccidio senza pari, da cui l'umanità forse potrà trarre la conclusione che con le intenzioni razionali si può dominare solo un aspetto del destino. Quello che si può dire in generale dell'umanità, vale anche per il singolo, perché l'intera umanità è fatta di tanti singoli. E alla psicologia dell'umanità corrisponde anche la psicologia del singolo. In questa guerra mondiale siamo arrivati a una terribile resa dei conti con l'intenzionalità razionale propria dell'organizzazione della civiltà. Quella che si chiama «volontà» per il singolo, è «imperialismo» per le nazioni, perché la volontà è dimostrazione di potenza sul destino, cioè esclusione della casualità. L'organizzazione della civiltà è una sublimazione razionale e «funzionale», messa in atto volontariamente e intenzionalmente, delle energie libere e indifferenti. Nel singolo è lo stesso. E, come l'idea di una organizzazione generale e internazionale della civiltà attraverso questa guerra ha subito una terribile rettifica, così anche l'individuo nel corso della sua vita deve spesso imparare che le cosiddette energie «disponibili» non permettono che si disponga di loro. In America fui consultato una volta da un uomo d'affari, il cui caso illustra bene quanto è stato appena detto. Si trattava d'un tipico self-made man americano, che era riuscito a emergere cominciando dal nulla. Aveva avuto molto successo e aveva creato un'attività di dimensioni poderose. Gli era anche riuscito di organizzare gradualmente l'attività in modo da poter pensare di ritirarsi dalla direzione degli affari. Due anni prima che io lo vedessi, si era effettivamente ritirato. Fino ad allora era vissuto soltanto per il suo lavoro e vi aveva concentrato tutta la sua energia, con quella incredibile intensità e unilateralità che è caratteristica dell'uomo americano di successo. Si era comprato una sontuosa residenza di campagna dove pensava di «vivere» e con ciò si immaginava cavalli, automobili, golf, tennis,parties, ecc. Ma aveva fatto i conti senza l'oste. L’energia diventata «disponibile» non si indirizzò verso queste prospettive allettanti, bensì si incapricciò di tutt'altra cosa. Infatti poche settimane dopo l'inizio dell'agognata vita felice cominciò a provare delle strane e vaghe sensazioni fisiche, e bastarono ancora un paio di settimane per farlo precipitare in un'incredibile ipocondria. Crollò completamente dal punto di vista nervoso. Lui, un uomo sano, dal fisico estremamente robusto e pieno d'energie, diventò un bambino piagnucoloso. E così finì tutto il suo splendore. Passava da una paura all'altra e si tormentava quasi a morte con torture ipocondriache. Consultò allora un famoso specialista che riconobbe subito giustamente che a quell'uomo non mancava altro che il lavoro. Ciò apparve chiaro anche al paziente che si recò di nuovo al suo posto di lavoro. Ma, con sua enorme delusione, non provava alcun interesse per il suo lavoro. Non servirono né la pazienza, né la decisione. L'energia non si lasciava più in nessun modo costringere ad applicarsi al lavoro. Le sue condizioni allora peggiorarono ulteriormente. Tutto ciò che prima era stato in ui viva energia lavorativa, si ritorse contro lui stesso con terribile forza distruttrice. Il suo genio creativo si ribellò in certo qual modo contro di lui e, come prima aveva creato grandi organizzazioni di portata mondiale, ora il suo demone creava sistemi altrettanto raffinati di sofismi ipocondriaci che lo annientavano completamente. Quando lo vidi era già una rovina morale senza speranza. Tuttavia cercai di spiegargli che si poteva sì ritirare una tale gigantesca energia dal lavoro, ma il problema era dove? Anche i cavalli più belli, le automobili più veloci e i parties più divertenti non rappresentano in certe condizioni alcuna attrattiva, sebbene certo sarebbe molto razionale pensare che una persona, che ha dedicato seriamente tutta la vita al lavoro, abbia in certo qual modo un diritto naturale a godersi la vita. Se il nostro destino procedesse «umanamente», allora dovrebbe essere così: prima il lavoro e poi il ben meritato riposo. Ma il destino procede appunto in modo irrazionale e l'energia richiede inopportunamente un gradiente che le si confà, altrimenti s'ingorga e diventa distruttiva. I miei argomenti non incontrarono naturalmente alcun favore, come era prevedibile. Un caso così avanzato si può solo curare fino alla morte, ma mai guarire. Questo caso mostra chiaramente che non è nelle nostre facoltà trasporre a piacimento un'energia «disponibile» su un oggetto scelto razionalmente. Proprio lo stesso vale in generale per quelle energie apparentemente disponibili che otteniamo coi mezzi cauterizzanti psicoanalitici quando abbiamo distrutto le loro forme inservibili. Queste energie possono, come già detto, essere impiegate arbitrariamente al massimo per un periodo breve. Di solito però si rifiutano di accettare durevolmente quelle possibilità proposte in modo razionale. L'energia psichica ha un carattere diffìcile e vuole che siano soddisfatte e sue condizioni. Ci può essere ancora molta energia disponibile, tuttavia non la possiamo utilizzare fintanto che non ci riesce di creare un gradiente. Tutto il mio lavoro di ricerca degli ultimi anni si è concentrato su questo problema. La prima tappa di questo lavoro è consistita nel conoscere i limiti di validità delle due teorie sopra discusse. La seconda tappa è consistita nel riconoscere che queste due teorie corrispondono a due tipi psicologici opposti, che ho definito come tipo introverso e estroverso. Già William James ha rilevato tra i pensatori l'esistenza di questi due tipi. Li ha distinti in «tender minded» e «tough minded». Anche Ostwald ha effettuato tra i grandi studiosi un'analoga distinzione, tra il tipo classico e il tipo romantico. Io non sono quindi il solo ad avere questa idea dei tipi, tanto per citare solo questi due nomi conosciuti tratti da un lungo elenco. Le ricerche storiche mi Hanno mostrato che non poche delle grandi dispute nella storia delle idee si basano sul contrasto dei due tipi. Il caso più significativo è il contrasto tra nominalismo e realismo, che cominciò con la differenza tra la scuola platonica e quella di Megara e fu ereditato dalla filosofia scolastica, quando Abelardo si guadagnò il gran merito almeno di tentare nel concettualismo un'unione dei punti di vista contraddittori. Questa disputa è continuata fino ai giorni nostri, in cui si è manifestata nel contrasto tra spiritualismo e materialismo. Come la storia generale delle idee, anche ogni singola persona partecipa a questo contrasto dei tipi. Si è dimostrato con un'analisi accurata che i due tipi preferiscono sposarsi tra loro, inconscia mente per raggiungere un completamento reciproco. Infatti ognuno dei due ha sviluppato particolarmente bene una funzione, il tipo introverso utilizza il pensiero come funzione d'adattamento e pensa in anticipo alle sue azioni; il tipo estroverso invece si immedesima nell'oggetto mentre agisce. Agisce in certo qual modo in anticipo. Perciò attraverso l'applicazione quotidiana l'uno ha sviluppato il pensiero, l'altro la sensibilità. Nei casi estremi l'uno si limita a pensare e osservare, l'altro a sentire e agire. Anche l'introverso sente e lo fa molto profondamente, quasi troppo profondamente, per cui fu definito da un ricercatore inglese5 addirittura come «emotional type», ma è tutto rivolto verso l'interno e quanto più sente appassionatamente e profondamente, tanto più diventa silenzioso all'esterno, come dice il proverbio: «L'acqua cheta rovina i ponti». Anche l'estroverso pensa, ma più rivolto verso l'interno, i suoi sentimenti si rivolgono però visibilmente verso l'esterno, per cui è considerato pieno di sentimento, mentre l'introverso è considerato freddo e arido. Poiché la sensibilità del pensatore è rivolta verso l'interno, non viene sviluppata come funzione d'adeguamento all'esterno, bensì rimane ferma in uno stato relativamente non sviluppato. Ugualmente anche il pensiero della persona sensibile rimane in uno stato relativamente non sviluppato. Se si tratta però di soggetti relativamente adattati, si trova regolarmente nell'introverso una sensibilità rivolta verso l'esterno, che può indurre notevolmente in errore. Egli mostra i sentimenti, e gentile, partecipa, mostra anche le emozioni. Ma un'analisi critica delle sue espressioni dei sentimenti rivela che sono sentimenti stranamente convenzionali. Non sono individuali. Verso ogni persona mostra senza sostanziale differenza ad esempio la stessa gentilezza, la stessa partecipazione, ecc., mentre le espressioni dei sentimenti dell'estrovero presentano sottili sfumature e caratterizzazione individuale. Nell'introverso si tratta in effetti di gesti convenzionali, acquisiti artificialmente, anche se i sentimenti in sé sono reali. Analogamente l'estroverso può apparentemente pensare, e spesso molto chiaramente e scientificamente. Ma se si guarda meglio si scopre che le sue idee sono un bene estraneo, forme convenzionali imparate artificialmente. Manca loro l'individualità e l'originalità e sono altrettanto tiepide e sbiadite come i sentimenti convenzionali dell'introverso. Sotto questa apparenza convenzionale sono latenti però in entrambi i tipi cose del tutto diverse che di quando in quando, forse in occasione d'un affetto sconvolgente, prorompono all'improvviso con sorpresa e spavento delle persone vicine. La maggior parte delle persone civili rientrano in un gruppo o nell'altro. Presi insieme, si completerebbero ottimamente. Perciò si sposano tra di loro così volentieri e, fintanto che sono completamente occupati ad adeguarsi alle necessità della vita, vanno anche d'accordo in modo eccellente. Quando però l'uomo ha guadagnato abbastanza soldi o una grande eredità piove loro addosso dal cielo, e con ciò cessano gli affanni esterni della vita, allora hanno tempo di occuparsi l'uno dell'altro. Prima stavano spalle contro spalle e si difendevano dagli affanni. Ora però si rivolgono l'uno verso l'altro e vogliono comprendersi — e scoprono che non si sono mai compresi. Ognuno parla una lingua diversa. Così inizia il contrasto dei due tipi. Questo contrasto è velenoso, violento e pieno di svalutazione reciproca, anche se viene condotto silenziosamente nel proprio intimo. Perché il valore dell'uno è il non valore dell'altro. L'uno parte dal punto di vista del suo prezioso pensiero e presume che i sentimenti dell'altro corrispondano ai suoi sentimenti inferiori, perché non conosce assolutamente altri sentimenti. L'altro prende le mosse dal punto di vista della sua preziosa sensibilità e presume che il partner possieda il suo stesso pensiero inferiore. Qui c'è molto lavoro per l'omuncolo di Wagner che doveva indagare «perché l'uomo e la donna vanno così poco d'accordo». Poiché le nevrosi dipendono in gran numero da queste differenze, come medico di questi malati mi vidi costretto a sottrarre all'omuncolo una parte del suo ingrato lavoro. Sono contento di poter dire che i miei chiarimenti hanno giovato a diverse persone che si trovavano in gran difficoltà. La terza tappa sulla strada d'una crescente conoscenza è consistita nel rendere utile la psicologia dei tipi ai fini d'un ulteriore sviluppo dell'uomo. Partendo da questo nuovo punto di vista è nata una teoria completamente nuova dei disturbi psicogeni. La base dei fatti rimane la stessa: il primo presupposto d'ogni nevrosi è l'esistenza d'un conflitto inconscio. Secondo la teoria freudiana si tratta d'un conflitto erotico, o per meglio dire, d'una lotta della coscienza morale contro il mondo fantastico inconscio di carattere infantile-sessuale e le sua trasposizione agli oggetti esterni. Secondo la teoria di Adler si tratta d'una lotta per la superiorità dell'Io contro gli influssi opprimenti interni ed esterni. La nuova concezione dice invece che il conflitto nevrotico ha sempre luogo tra la funzione adeguata e la sottofunzione non differenziata che in massima parte si trova nell'inconscio, cioè nell'introverso tra il pensiero e la sensibilità inconscia, nell'estroverso tra la sensibilità e il pensiero inconscio. Con ciò è nata anche un'altra teoria eziologica. Quando si presenta all'uomo pensante una sfida che non può più essere risolta col solo pensiero, bensì solo con una sensibilità differenziata, allora scoppia il conflitto traumatico o patogeno, o al contrario, se si presenta alla persona sensitiva un problema che richiede un pensiero differenziato, allora insorge il momento critico. Il caso summenzionato dell'uomo d affari rappresenta un chiaro esempio: l'uomo era un introverso che per un periodo della sua vita aveva messo da parte, cioè nell'inconscio, tutte le attenzioni per i sentimenti. Quando, per la prima volta nella sua vita, si presentò una situazione che si poteva risolvere solo con una sensibilità differenziata, allora fallì completamente. Nello stesso tempo si presentò un fenomeno estremamente istruttivo: infatti i suoi sentimenti inconsci si manifestarono come sensazioni fisiche di vaga natura. Ciò concorda con un'esperienza confermata generalmente nella nostra psicologia, cioè che i sentimenti non sviluppati hanno il carattere di vaghe sensazioni fisiche, da cui consegue che i sentimenti indifferenziati sono identici a sensazioni fisiche soggettive. I sentimenti differenziati sono più di natura «astratta» e oggettiva. Questo fenomeno dovrebbe essere la base inconscia della più antica formulazione psicologica dei tipi a me nota, cioè dei tre tipi della scuola valentiniana. Il tipo indifferenziato era lì considerato il cosiddetto uomo corporeo (materiale). A lui erano preposti i tipi differenziati, cioè l'uomo psichico (a cui corrisponde il tipo estroverso) e l'uomo pneumatico (spirituale) (a cui corrisponde il tipo introverso). Per questi gnostici l'uomo «pneumatico» era naturalmente il più elevato. Il cristianesimo con la sua natura «psichica» (il principio dell'amore) ha tuttavia contestato allo gnosticismo questo diritto di priorità. Ma nel corso della storia anche questa pagina può essere voltata; se non tutti i presagi ingannano, siamo proprio alla resa dei conti finale dell'epoca cristiana, e certo sappiamo che lo sviluppo non avviene in modo continuo, bensì che, quando una creazione è superata, esso ritorna al punto in cui si era cominciato a costruire e si era lasciata un'opera a metà. Ma dopo questa breve digressione generale torniamo al nostro caso. Se un simile disturbo colpisse un estroverso, egli avrebbe dei cosiddetti sintomi isterici, cioè ugualmente dei sintomi di natura apparentemente fisica, che secondo la nostra teoria dovrebbero rappresentare in questo caso il pensiero inconscio indifferenziato del paziente. Alla base dei sintomi isterici troviamo anche, effettivamente, delle creazioni della fantasia molto ramificate, delle quali si trovano molte vaste descrizioni in letteratura. Sono fantasie di colorazione decisamente sessuale, cioè fisica. In effetti sono però idee indifferenziate, che hanno qualcosa in comune coi sentimenti indifferenziati: entrambi sono in certo qual modo di natura fisica e si configurano come cosiddetti sintomi fisici. Riprendendo ora il discorso che avevamo interrotto, possiamo dire che è ormai chiaro perché proprio nella nevrosi sono presenti quei valori di cui l'individuo è mancante. Possiamo ora tornare anche al caso della giovane donna e applicare ad esso la conoscenza acquisita: è un'estroversa con una nevrosi isterica. Immaginiamoci ora che questa malata sia stata «analizzata», cioè che attraverso il trattamento le sia divenuto chiaro che tipo di idee inconsce si celavano dietro i suoi sintomi, e che quindi sia tornata in possesso di quella energia psichica diventata inconscia che aveva costituito la forza dei sintomi. Ora nasce una domanda di carattere pratico: che ne sarà della cosiddetta energia disponibile? Sulla base del tipo psicologico della malata sarebbe razionale riportare questa energia all’esterno, cioè trasporla su un oggetto, per esempio un'attività filantropica o qualcos'altro di utile. Questa strada è eccezionalmente possibile per nature particolarmente energiche, che non rifuggono all'occorrenza dall'affannarsi a morte, o per persone a cui stanno a cuore gli annessi e connessi di tali attività, di solito non è però possibile. Infitti non dobbiamo dimenticare che la libido (cioè il termine tecnico per energia psichica) ha già il suo oggetto, e questo è il giovanotto italiano o un'altra persona altrettanto reale come sostituto. A queste condizioni una così bella sublimazione è tanto auspicabile quanto impossibile. Perché di solito l'oggetto reale dell'energia offre un gradiente migliore di un'attività etica, per quanto bella sia. Purtroppo ci sono di gran lunga troppe persone che parlano sempre e solo della persona come dovrebbe essere secondo i loro desideri, ma mai di come è lealmente. Il medico ha però sempre a che fare con la persona reale che rimane ostinatamente la stessa finché la sua realtà non è riconosciuta da tutti. Una educazione può prendere le mosse solo dalla nuda realtà e non dal fantasma ideale della persona che si desidera. Purtroppo non si può impartire arbitrariamente una direzione alla cosiddetta energia disponibile. Essa segue il suo gradiente. Lo ha già trovato ancor prima che noi l'abbiamo completamente liberata dalla congiunzione alla forma inadatta. Infatti scopriamo che le fantasie della paziente, che prima si rivolgevano all'italiano, si sono ormai trasferite sullo stesso medico. Il medico è quindi diventato l’oggetto della libido inconscia. Se questo non si realizza o se la malata non vuole riconoscere in nessun caso il dato di fatto del transfert, o se il medico non capisce il fenomeno o lo capisce male, allora insorgono forti resistenze che mirano a rompere il rapporto col medico da ogni punto di vista. Allora i malati vanno via e cercano un altro medico o una persona che li capisca oppure, se rinunciano anche a questa ricerca, degenerano. Se però si instaura il transfert sul medico e viene accettato, allora si è trovata anche una forma naturale che sostituisce la forma precedente, e al tempo stesso rende possibile un decorso relativamente privo di conflitti del processo energetico. Se si lascia alla libido il suo corso naturale essa trova da sola la strada per il transfert. Se ciò non avviene si tratta sempre di ribellioni arbitrarie contro le leggi della natura o d'una prestazione scadente del medico. Nel transfert vengono inizialmente proiettate tutte le possibili fantasie infantili, che devono essere cauterizzate, cioè dissolte in modo riduttivo. Ciò aveva prima il nome di risoluzione del transfert. In questo modo l'energia viene liberata anche da questa forma inservibile e ci troviamo di nuovo di fronte al problema dell'energia disponibile. Anche questa volta possiamo essere sicuri che la natura, prima ancora che noi lo cerchiamo, ha scelto un oggetto che offre il gradiente più favorevole. L'inconscio personale e sovrapersonaleQui comincia la quarta tappa del nostro processo conoscitivo. Abbiamo seguito il dissolvimento analitico delle fantasie infantili di transfert finché anche al paziente diviene sufficientemente chiaro che lui trasforma il medico in padre e madre, zio, tutore e insegnante, e quanti altri nomi hanno le autorità parentali. Come mostra l'esperienza, si presentano però ulteriori fantasie che rappresentano il medico addirittura come un salvatore o una natura quasi divina. Naturalmente del tutto in contrasto con la sana ragione della coscienza. Poi accade perfino che questi attributi divini superino notevolmente i confini della concezione cristiana, in cui siamo tutti cresciuti, e assumano atteggiamenti pagani, per esempio molto spesso forme di animali. Il transfert in sé non è altro che una proiezione di contenuti inconsci. In primo luogo vengono proiettati i cosiddetti contenuti superficiali dell'inconscio. In questo stadio il medico appare come un possibile amante (simile al giovanotto italiano del nostro caso). Poi appare più come papà, bonario o imprecante, a seconda delle qualità che il vero padre del paziente dimostrava verso di lui. A volte il medico appare al paziente anche sotto vesti materne, il che fa una strana impressione, ma tuttavia rientra nei confini del possibile. Tutte queste proiezioni della fantasia sono intessute di reminiscenze personali. Poi si presentano fantasie esuberanti e impossibili. Il medico appare improvvisamente dotato di qualità incredibili, ad esempio come un mago o un criminale demoniaco, o all'opposto, come un salvatore. Ancora dopo appare come un'incomprensibile mescolanza di entrambi gli aspetti. Beninteso, il medico non appare così alla coscienza del paziente, ma vengono a galla delle fantasie che lo rappresentano in questo modo. Se il paziente, come accade non di rado, non riesce a capire che questo aspetto in cui appare il medico è una proiezione del suo inconscio (del paziente), allora si comporta come un pazzo. In questo stadio ci sono spesso grandi difficoltà per cui sono necessarie da tutte e due le parti molta buona volontà e grande pazienza. Ci sono eccezionalmente perfino casi che non possono dominarsi e cominciano a diffondere le storie più sciocche sul conto del medico. A questi pazienti non vuole entrare in testa che le loro fantasie hanno veramente origine in loro stessi e che hanno poco o niente a che fare col carattere del medico. Questo errore persistente ha origine dal fatto che non sono presenti reminiscenze personali per quest'altro tipo di proiezioni. Di quando in quando si può dimostrare che fantasie simili, già a un certo punto dell'infanzia, erano legate al padre e alla madre, senza che né il padre, né la madre dessero loro veramente adito. Freud ha mostrato in un suo piccolo scritto che Leonardo da Vinci fu influenzato a tarda età dal fatto di aver avuto due madri. Nel caso di Leonardo il fatto delle due madri o della doppia discendenza era reale, ma è importante anche in altri artisti. Anche Benvenuto Cellini aveva la fantasia della doppia discendenza. D'altra parte si tratta d'un motivo mitologico. Molti eroi hanno nella leggenda due madri. La fantasia non deriva veramente dal fatto che gli eroi abbiano due madri, bensì si tratta di un'immagine «originaria» generalmente diffusa, che appartiene ai segreti della storia generale dello spirito umano e non al campo della reminiscenza personale. In ogni singola persona ci sono, oltre alle reminiscenze personali, le grandi immagini «originarie», come le ha definite appropriatamente Jakob Burckhardt, cioè le possibilità dell'immaginazione umana ereditate, com'è da sempre, nella struttura del cervello. Il dato di fatto di questa eredità spiega anche il fenomeno veramente incredibile che certi materiali e motivi leggendari si presentino in tutto il mondo in forme uguali. Spiega anche come i nostri malati di mente possano riprodurre esattamente le stesse immagini e gli stessi contesti che noi conosciamo dai testi antichi. Ho fornito alcuni esempi di questo tipo nel mio libro Trasformazioni e simboli della libido. Con ciò non asserisco in nessun modo l'eredità delle rappresentazioni, bensì soltanto della possibilità di rappresentare, il che costituisce una notevole differenza. In questa ulteriore fase del transfert in cui vengono riprodotte queste fantasie che non si basano più su reminiscenze personali, si tratta della manifestazione degli strati più profondi dell'inconscio, dove giacciono sopite le immagini originarie comuni a tutta l'umanità. Questa scoperta porta alla quarta tappa della nostra teoria: cioè al riconoscimento d'una differenziazione nell'inconscio. Dobbiamo infatti distinguere un inconscio personale e un inconscio impersonale o sovrapersonale. Definiamo quest'ultimo anche come inconscio assoluto o collettivo, appunto perché è separato da quello personale e ha un carattere del tutto generale, poiché i suoi contenuti si possono trovare nelle teste di tutti, la qual cosa non è vera per i contenuti personali. Le immagini originarie sono le idee più antiche, generali e profonde dell'umanità. Sono al tempo stesso sentimento e idea, le si potrebbe perciò anche chiamare pensiero sensoriale originario. Con ciò abbiamo trovato anche l'oggetto che la libido ha scelto dopo che è stata liberata dalla forma di traslazione di carattere personale-infantile. Infatti essa affonda nelle profondità dell'inconscio e lì anima ciò che sonnecchiava da tempo immemorabile. Ha scoperto il tesoro sotterraneo da cui l'umanità ha sempre attinto per creare, da cui ha tratto i suoi dèi e i suoi demoni e tutte quelle idee, le più vigorose e poderose, senza le quali l'uomo cessa di essere tale. Prendiamo ad esempio una delle più grandi teorie a cui il XIX secolo abbia dato i natali, la teoria della conservazione dell'energia. Robert Mayer ne è il vero autore. Era un medico e non un fisico o un naturalista, che sarebbero stati più adatti a creare una tale teoria. È importante però sapere che Robert Mayer non la creò nel vero senso della parola. Essa non derivò nemmeno dalla confluenza di idee esistenti allora o da ipotesi scientifiche, bensì si sviluppò autonomamente all'interno del suo autore e lo condizionò. Robert Mayer scrisse a Griesinger nel 1844: «Non ho assolutamente escogitato la teoria a tavolino». (Poi riferisce alcune osservazioni fisiologiche che fece nel 1840-41 come medico di bordo.) «Se si vogliono», così prosegue nella sua lettera, «chiarire degli aspetti fisiologici, allora è indispensabile la conoscenza dei processi fisici, a meno che non si preferisca elaborare la questione dal punto di vista metafisico, la qual cosa mi disgusta infinitamente; quindi mi attenni alla fisica e mi abbandonai alla materia con tale amore che — e a questo proposito qualcuno potrà ridere di me — mi interessai poco a quella remota parte del mondo, bensì mi trattenni preferibilmente a bordo dove potevo lavorare ininterrottamente e dove in alcune ore mi sentivo per così dire ispirato: non posso ricordarmi che una cosa del genere mi sia mai accaduta in precedenza o in seguito. Alcuni lampi di genio che mi traversarono la mente — eravamo nella baia di Subaraja — furono subito seguiti con solerzia e portarono a sempre nuovo materiale. Quel periodo è ormai passato, ma la pacata analisi di ciò che allora emerse dentro di me mi ha insegnato che, perché una cosa sia vera, la si deve non solo poter sentire soggettivamente, bensì anche dimostrare oggettivamente; ma quanto alla possibilità che questo possa accadere ad un uomo non esperto di fisica, in proposito preferisco naturalmente non esprimermi.» Nella sua Energetica, Helm esprime l'opinione «che la nuova teoria di Robert Mayer non sia scaturita gradualmente da concetti-forza ereditati attraverso un loro ulteriore approfondimento, bensì appartenga a quelle idee concepite intuitivamente che, provenendo da altri campi dello spirito, in certo qual modo sopraffanno il pensiero e lo costringono a trasformare i concetti ereditati in base a queste nuove idee». Ci si pone ora la domanda: da dove nasce la nuova teoria che si è imposta alla coscienza con forza così elementare? E da dove ha preso quella forza che ha potuto impadronirsi a tal punto della coscienza da distoglierla completamente da tutte quelle impressioni molteplici d'un primo viaggio ai tropici? Non è facile rispondere a queste domande. Se però applichiamo la nostra teoria a questo caso, la spiegazione è la seguente: l'idea dell'energia e della sua conservazione deve essere un'immagine originaria che era latente nell'inconscio assoluto. Questa conclusione ci costringe naturalmente a dimostrare che una tale immagine originaria sia veramente esistita nella storia dello spirito e abbia mostrato la sua efficacia nei millenni. Questa prova può effettivamente essere fornita senza difficoltà: le religioni più primitive nelle più diverse zone del mondo sono fondate su questa immagine. Sono le cosiddette religioni dinamistiche il cui unico fondamentale principio è l'esistenza d'una forza magica diffusa dappertutto, intorno a cui ruota ogni cosa. Tylorr, il noto ricercatore inglese, e anche Frazer hanno frainteso questa idea coll'animismo. In realtà le popolazioni primitive col loro concetto fondamentale non intendono assolutamente riferirsi all'anima o allo spirito, bensì intendono qualcosa che il ricercatore americano Love joy1 ha definito appropriatamente «primitive energetics». Ho mostrato in una indagine sull'argomento che questo concetto comprende l'idea di anima, spirito, dio, salute, forza fisica, fertilità, potere magico, influsso, potenza, prestigio, rimedio medicinale, come pure certi stati d'animo che sono caratterizzati dallo scatenamento degli affetti. Per alcuni polinesiani, «mulungu» (appunto questo primitivo concetto d'energia) è spirito, anima, natura demoniaca, potere magico, prestigio, e se succede qualcosa di stupefacente la gente grida «mulungu». Questo concetto-forza è anche la prima formulazione del concetto di Dio presso i popoli primitivi. L'immagine si è sviluppata in sempre nuove forme nel corso della storia. Nell'Antico Testamento la forza magica splende nel pruno fiammeggiante e al cospetto di Mosè, nei Vangeli proviene dal cielo nella discesa dello Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco. In Eraclito appare sotto forma di energia del mondo, come «fuoco perenne»; in persiano è lo splendore del fuoco dell'haoma, la grazia divina, negli stoici è il calore originario, la forza del destino. Nella leggenda medievale appare come aura, o aureola, e divampa sotto forma d'un'alta fiamma sul tetto della capanna in cui il santo giace in estasi. Nelle loro visioni i santi vedono questa forza come un sole, come pienezza di luce. Secondo un'antica concezione l'anima stessa è rappresentata da questa forza; nell'idea della sua immortalità c'è l'idea della sua conservazione e nella concezione buddista e primitiva della metempsicosi (trasmigrazione dell'anima) c'è a sua illimitata capacità di trasformarsi rimanendo costante. Questa idea è quindi impressa nel cervello umano da eoni. Perciò è presente nel cervello d'ogni persona. Sono necessarie solo alcune condizioni per farla riemergere. Nel caso di Robert Mayer queste condizioni furono evidentemente soddisfatte. Le idee migliori e più importanti dell'umanità si formano attraverso queste immagini originarie che rappresentano un antico patrimonio comune dell'umanità. Dopo questo esempio della nascita di nuove idee dal tesoro delle immagini originarie riprendiamo l'ulteriore esposizione del processo di transfert. Abbiamo visto che la libido ha preso il suo nuovo oggetto appunto da quelle fantasie apparentemente sciocche e singolari, cioè i contenuti dell'inconscio assoluto. Come ho già detto, la mancata comprensione della proiezione delle immagini originarie sul medico è un pericolo da non sottovalutare per il successivo trattamento. Le immagini contengono infatti non solo tutte le cose più belle e più grandi che l'umanità abbia mai pensato e provato, bensì anche tutte le peggiori infamie e diavolerie di cui gli uomini siano mai stati capaci. Se il paziente non sa distinguere la personalità del medico da queste proiezioni, allora si perde ogni possibilità di comprensione e ogni rapporto umano diventa impossibile. Se però il paziente evita questa Cariddi, cade vittima della Scilla dell' introiezione di queste immagini, cioè non attribuisce le loro qualità al medico, ma a se stesso. Questo pericolo è altrettanto grave. Nella proiezione i suoi sentimenti verso il medico oscillano tra un esaltazione esagerata e morbosa e un disprezzo pieno di odio. Nell'introiezione cade in una ridicola autodeficazione o nel dilaniamento morale di se stesso. L'errore che compie entrambe le volte consiste nel fatto di attribuirsi personalmente i contenuti dell'inconscio assoluto. Così trasforma se stesso in dio o in diavolo. Qui risiede il motivo psicologico del perché gli uomini hanno sempre avuto bisogno dei demoni e non hanno mai potuto vivere senza dèi, ad eccezione di alcuni esemplari particolarmente intelligenti dell'Homo occidentalis del passato vicino e remoto, superuomini, il cui dio è morto, per cui essi stessi diventano dèi, e precisamente frazioni di divinità razionaliste dal cranio spesso come il muro e dal cuore freddo. Il concetto di Dio è infatti una funzione psicologica assolutamente necessaria di natura irrazionale, che non ha niente a che vedere col problema dell'esistenza di Dio. Poiché quest'ultimo problema è uno dei più stupidi che ci si possa porre. Si sa molto bene che non si può nemmeno pensare a un Dio, non parliamo poi della possibilità di immaginarci che esista veramente, altrettanto scarsa quanto la possibilità di immaginarci un processo che non sia condizionato da una causalità necessaria. Teoricamente non ci può essere nessuna casualità, questo è chiaro una volta per tutte. Al contrario si incespica nella vita pratica continuamente nella casualità. Lo stesso avviene coll'esistenza di Dio: è una volta per tutte un problema assurdo. Ma da eoni il consensum gentium parla di dèi e fra eoni continuerà ancora a parlarne. Per quanto l'uomo possa considerare la sua ragione bella e completa, può essere altrettanto certo che essa tuttavia costituisce solo una delle possibili funzioni spirituali e riguarda soltanto quella parte dei fenomeni del mondo ad essa relativa. Tutt'intorno c'è però l'irrazionale, ciò che non è congruente colla ragione. E questo irrazionale è in ugual misura una funzione psicologica, cioè l'inconscio assoluto, mentre la funzione della coscienza è essenzialmente razionale. La coscienza deve appunto avere una ratio, affinché, nel caos dei casi disordinati individuali che si presentano al mondo, possa scoprire prima un ordine e poi, almeno nei limiti dell'umano, possa anche realizzarlo. Abbiamo la lodevole e utile tendenza a eliminare possibilmente il caos dell'irrazionale in noi e fuori di noi. In questo processo siamo andati apparentemente abbastanza avanti. Un malato di mente mi ha detto una volta: «Dottore, stanotte ho disinfettato tutto il cielo col sublimato e non ho scoperto nessun Dio». Qualcosa del genere è capitata anche a noi. Il vecchio Eraclito, che era veramente un grande saggio, ha scoperto la più portentosa di tutte le leggi psicologiche, cioè la funzione regolatrice dei contrari. L'ha definita enantiodromia, il convergere l'uno verso l'altro, con la qual cosa intendeva che tutto sfocia nel suo contrario. (Ricordo qui il caso dell'uomo d'affari americano che esemplifica nel modo più chiaro l'enantiodromia.) Così l'atteggiamento razionale della civiltà sfocia necessariamente nel suo suo contrario, cioè nella devastazione irrazionale della civiltà stessa. Non è infatti possibile identificarsi con la ragione, perché l'uomo non è soltanto ragionevole e non lo potrà mai essere. Questo dovrebbero capirlo tutti coloro che vogliono insegnare cultura. L'irrazionale non deve e non può essere estirpato. Gli dèi non possono e non devono morire. Guai agli uomini che vogliono disinfettare razionalmente il cielo, Dio stesso è penetrato in loro perché non hanno riconosciuto l'esistenza della sua funzione. Si sono identificati col loro inconscio e sono diventati i buffoni del loro inconscio. (Perché tanto più vicino è Dio, tanto più grande è il pericolo.) Questa guerra è una guerra economica? Questo è un punto di vista neutrale, «businesslike», tipicamente americano, che non prende in considerazione il sangue, le lacrime, le incredibili infamie e torture e trascura completamente il fatto che questa guerra è una pazzia epidemica. Le parti proiettano reciprocamente il loro inconscio, da cui nasce in ogni testa un'enorme confusione di concetti. Si tratta dell'enantiodromia, che entra altrettanto nella vita delle singole persone, come nella vita dei popoli. La leggenda della costruzione della torre di Babele si dimostra valida. Si sottrae alla terribile legge della enantiodromia solo colui che si sa isolare dall'inconscio, non rimuovendolo, perché altrimenti viene preso alle spalle, ma ponendolo chiaramente di fronte a sé e individuandolo come qualcosa di diverso da sé. In questo modo è risolto il problema di Scilla e Cariddi, di cui ho parlato in precedenza. Il paziente deve imparare a distinguere nelle sue idee ciò che è Io da ciò che è non-Io, cioè psiche collettiva o inconscio assoluto. Ottiene così il materiale con cui da questo momento in poi si dovrà confrontare per un lungo periodo. La sua energia, prima applicata in forme inadatte e patologiche, ha così trovato il campo che le è proprio. Attiene alla differenziazione dell'Io psicologico e del non-Io psicologico che l'uomo eserciti saldamente la sua funzione dell'Io, cioè che assolva del tutto il suo dovere nei confronti della vita, così da essere un membro vitale della società umana. Tutto ciò che trascura a questo riguardo, cade dalla parte dell'inconscio e rafforza la sua posizione; cosicché c'è il pericolo che egli venga inghiottito dall'inconscio, se la sua funzione dell'Io non è consolidata. A tal proposito ci sono severe punizioni. Come accenna il vecchio Sinesio, l'«anima spiritualizzata (pneumatike psyché) diventa dio e demone e subisce in queste condizioni la punizione divina», cioè il dilaniamento subito da Zagreo, ciò che anche Nietzsche patì all'inizio della sua malattia mentale, Quando Dio con l’«ecce homo» lo prese alle spalle, mentre lui si difendeva disperatamente davanti. Enantiodromia vuol dire essere lacerati in coppie di contrasti che si addicono solo al Dio, o anche all'uomo divinizzato che deve al superamento dei propri dèi la sua somiglianza a Dio. Il metodo sintetico o costruttivoQui comincia la quinta tappa del nostro progresso cognitivo: il confronto con l'inconscio è un processo, una vera tecnica, un vero lavoro, che ha preso il nome di funzione trascendente, poiché rappresenta una funzione che si basa su dati reali e immaginari o razionali e irrazionali, e così fa da ponte alla spaccatura tra funzioni razionali e irrazionali della psiche. La funzione trascendente ha la sua base metodologica in un nuovo trattamento del materiale psicologico (i sogni e le fantasie). Le teorie discusse all'inizio si basano su un procedimento esclusivamente causale-riduttivo, che risolve il sogno (o la fantasia) nelle varie reminiscenze che lo compongono e nei processi istintuali che ne sono alla base. Ho parlato in precedenza con chiarezza della legittimità, come pure della limitatezza di questo procedimento. Questo procedimento arriva a conclusione nel momento in cui i simboli del sogno non si lasciano più ridurre a reminiscenze o aspirazioni personali, cioè quando vengono riprodotte le immagini dell'inconscio assoluto. Sarebbe del tutto insensato voler ridurre queste idee collettive al personale, e non solo insensato, ma veramente dannoso, come l'esperienza mi ha spiacevolmente insegnato. Le immagini o i simboli dell'inconscio assoluto mostrano i loro valori solo quando sono sottoposti a un trattamento sintetico (non analitico). Come l'analisi (il procedimento causale-riduttivo) scompone il simbolo nelle sue componenti, così il procedimento sintetico integra il simbolo in un'espressione generale e comprensibile. Il procedimento sintetico non è certamente facile; perciò desidero fornire un esempio con cui spiegare tutto il processo. Una paziente, che si trovava proprio in quel critico punto di transizione tra l'analisi dell'inconscio personale e l'inizio della riproduzione dell'inconscio assoluto, fece il seguente sogno. Lei è sul punto di attraversare un ampio ruscello impetuoso. Non c'è un ponte. Trova però un punto dove può attraversarlo. Quando sta per farlo un grosso granchio, che stava nascosto nell'acqua, l'afferra al piede e non la lascia più andare. Si sveglia in preda all'angoscia. ASSOCIAZIONI 1. ruscello: costituisce un limite che è difficilmente superabile — devo superare un ostacolo — si riferisce al fatto che vado avanti sempre a rilento — dovrei arrivare dall'altra parte. 2. guado : un'occasione per attraversare sicuramente — una possibile strada — altrimenti il ruscello sarebbe troppo largo. Nel trattamento analitico c'è la possibilità di superare l'ostacolo. 3. granchio: il granchio era nascosto nell'acqua, prima non lo avevo visto — il cancro è una terribile malattia [Krebs significa in tedesco sia granchio che cancro] — incurabile (ricordo della signora X che è morta di carcinoma) ho paura di questa malattia — il granchio è un animale che cammina all'indietro — e evidentemente mi vuole trascinare nel ruscello — mi ha afferrata in modo inquietante e mi sono presa una terribile paura — cos'è che non mi lascia andare dall'altra parte? Ah già, — ho avuto di nuovo una gran scenata colla mia amica. Con questa amica c'è un rapporto particolare. Si tratta di un'amicizia appassionata che sfiora l'omosessualità. L'amica è sotto molti aspetti simile alla paziente e altrettanto nervosa. Entrambe hanno espliciti interessi artistici in comune. La paziente ha però la personalità più forte tra loro due. Poiché il oro rapporto è di gran lunga troppo intimo e di conseguenza escludono troppe altre possibilità nella loro vita, sono entrambe nervose e nonostante l'amicizia ideale hanno delle grosse scenate, che sono causate dalla reciproca irritazione. L'inconscio vuole allontanarle, ma loro non vogliono rendersene conto. La scenata comincia di solito così, che una trova che non ci si capisce ancora abbastanza, bisogna arrivare a parlarsi reciprocamente ancora di più, al che entrambe cercano con entusiasmo di parlarsi. Quanto prima si verifica naturalmente un equivoco che causa di nuovo una scenata, sempre più grave. Faute-de-mieux il litigio è stato a lungo per entrambe un surrogato del piacere, a cui non volevano mai rinunciare. In particolare la mia paziente per molto tempo non poteva rinunciare a quel dolce dolore di non essere compresa dalla sua migliore amica, sebbene ogni scena la esaurisse «a morte» e avesse capito da tempo, che questa amicizia era superata e che lei credeva solo per falso orgoglio che potesse rappresentare ancora un ideale. La paziente aveva però già verso la madre un rapporto esuberante e fantastico e, dopo la morte della madre, ha trasferito i suoi sentimenti sull'amica. L'esistenza di fantasie omosessuali è dimostrata a sufficienza. INTERPRETAZIONE ANALITICA (CAUSALE-RIDUTTIVA) Questa interpretazione si lascia riassumere in una frase: «Mi rendo ben conto che volevo arrivare dall'altra parte del ruscello (cioè finire il rapporto con l'amica), ma preferirei molto di più che la mia amica non mi lasciasse uscire dalle sue tenaglie (l'abbraccio), il che corrisponde al seguente desiderio infantile: possa la mamma tornare ad attirarmi a sé nel modo consueto, con un abbraccio esuberante». Ciò che è incompatibile in questo desiderio sta nella forte vena sotterranea di omosessualità, che è dimostrata a sufficienza da dati di fatto palesi. Il granchio l'afferra al piede poiché la paziente ha grandi piedi «maschili»; lei esercita nei confronti dell'amica un ruolo maschile e anche le sue fantasie sessuali si muovono in questa direzione. Il piede ha notoriamente un significato fallico. (Ampie prove a questo riguardo in Aigremont.) L'interpretazione complessiva è quindi la seguente: il motivo per cui non vuole allontanarsi dall'amica consiste semplicemente nel fatto che ha desideri omosessuali inconsci nei confronti della sua amica. Poiché questi desideri sono moralmente ed esteticamente inconciliabili con la tendenza della personalità conscia, sono rimossi e perciò inconsci. L'angoscia non è altro che questo desiderio rimosso. Questa interpretazione è naturalmente la più grande svalutazione che si possa immaginare di quell'alto e consapevole ideale che la paziente ha dell'amicizia. A dire il vero a questo punto dell'analisi la paziente non avrebbe più preso male questa mia interpretazione. Certi fatti l'avevano sufficientemente convinta già da parecchio tempo dell'esistenza in lei di una tendenza omosessuale, cosicché poteva ammettere liberamente questa tendenza, sebbene non fosse naturalmente piacevole per lei. Se quindi in questo stadio del trattamento le avessi dato questa interpretazione, non mi sarei più scontrato con la sua resistenza. Attraverso la comprensione aveva già superato il lato penoso di questa tendenza indesiderata. Però mi avrebbe detto: «Perché analizziamo ancora questo sogno? Dice sempre la stessa cosa che so già da tanto tempo». L'intera interpretazione non dice alla paziente assolutamente niente di nuovo e perciò non desta il minimo interesse ed è del tutto inefficace. In questo caso un'interpretazione del genere all'inizio del trattamento sarebbe stata impossibile, semplicemente perché l'estremo pudore della paziente non avrebbe ammesso in nessun caso una cosa del genere. Era stato necessario istillare il «veleno» della consapevolezza con molta prudenza e in piccolissime dosi, finché la malata era diventata gradualmente più ragionevole. Quando l'interpretazione analitica o causale-riduttiva non apporta più nulla di nuovo, bensì sempre le stesse cose in forme diverse, allora è giunto il momento in cui è indicato un altro procedimento d'interpretazione. Il procedimento causale-riduttivo ha i seguenti svantaggi. 1. Innanzi tutto non prende esattamente in considerazione le associazioni della paziente. In questo caso per esempio l'associazione della malattia al «granchio». 2. La scelta dei simboli in modo singolare e caratteristico rimane oscura. Perché per esempio la madre-amica deve apparire proprio sotto forma di granchio? Potrebbe essere rappresentata ad esempio in modo molto più carino e plastico come una ninfa. («In parte era lei ad attirarlo, in parte era lui a sprofondare», ecc.). Un polipo o un drago, un serpente o un pesce, sarebbero serviti ugualmente allo scopo. 3. Il procedimento causale-riduttivo dimentica che il sogno è un fenomeno totalmente soggettivo, che quindi un'esauriente interpretazione non può mai riferire il granchio alla madre o all'amica, bensì solo al soggetto, l'autrice del sogno stessa. E’ lei l'intero sogno, lei è il ruscello, il passaggio e il granchio, questi singoli elementi sono espressioni delle condizioni e tendenze psicologiche dell'inconscio del soggetto. Ho quindi introdotto la seguente terminologia: definisco ogni interpretazione in cui le espressioni del sogno vengono considerate oggetti reali una interpretazione a livello dell'oggetto. Contrapposta a questa interpretazione c'è quella che riferisce ogni parte del sogno, per esempio le persone che vi compaiono, allo stesso autore del sogno. Questo procedimento prende il nome di interpretazione a livello del soggetto. L'interpretazione a livello dell'oggetto è analitica, perché scompone il contenuto del sogno in complessi di reminiscenze che vengono riferiti a condizioni reali. L'interpretazione a livello del soggetto è invece sintetica, perché libera i complessi di reminiscenze dalle circostanze reali e li considera come tendenze o parti del soggetto e li reintegra al soggetto stesso. (Nell'atto di vivere non vivo solo il soggetto, bensì prima di tutto me stesso, ma solo se mi rendo conto del mio atto di vivere.) Il processo interpretativo sintetico o costruttivo si basa quindi sull'interpretazione a livello soggettivo. INTERPRETAZIONE SINTETICA (COSTRUTTIVA) La paziente non è conscia del fatto che l'ostacolo da superare è in lei stessa, un limite difficilmente valicabile e che impedisce un qualsiasi miglioramento. E’ però possibile superare questo limite. Tuttavia proprio a questo punto si presenta la minaccia d'un pericolo particolare e inaspettato, qualcosa di «animalesco» (di inumano o sovrumano), che procede a ritroso e verso il profondo e vorrebbe trascinare giù anche l'autrice del sogno con tutta la sua personalità. Questo pericolo è come una malattia, che uccide, che nasce nascostamente da qualche parte e si rivela inguaribile (troppo potente). La paziente s'immagina che l'amica la ostacoli e la tiri verso il basso. Fintanto che essa crede ciò, deve naturalmente agire sull'amica, «spingerla verso l'alto», insegnarle, migliorarla, educarla, deve fare degli sforzi idealistici inutili e insensati per impedire di essere tirata verso il basso dall'amica. Gli stessi sforzi fa naturalmente anche l'amica, perché si trova nelle stesse condizioni della paziente. Così entrambe saltan su, l'una contro l'altra, come galli da combattimento e ognuna cerca di volare in testa all'altra. Quanto più una si avvita verso l'alto, tanto più l'altra deve affannarsi anch'essa per andare in alto. Perché? Perché entrambe pensano che la colpa sia dell'altra, dell'oggetto. L'interpretazione a livello del soggetto risolve questa situazione insensata. Il sogno mostra alla paziente che lei stessa ha qualcosa dentro di sé che la ostacola nel superare il limite, nel passare da una situazione o da un atteggiamento allo stadio successivo. L'interpretazione del mutamento di luogo come mutamento di situazione è documentata dal modo di esprimersi di certe lingue primitive, in cui ad esempio la frase «Sono in procinto di andare» suona «Sono sul punto di andare». Per comprendere il linguaggio dei sogni abbiamo naturalmente bisogno di numerosi raffronti tratti dalla psicologia del simbolismo primitivo e storico, perché i sogni nascono essenzialmente dall'inconscio, che contiene le possibilità funzionali residue di tutte le epoche precedenti del nostro sviluppo storico. Naturalmente è essenziale capire che cosa significa il granchio. In primo luogo sappiamo che è un qualcosa che si manifesta nell'amica (perché lei riferisce il granchio all'amica) e che quindi è manifesto anche nella madre. Che la madre o l'amica abbiano effettivamente questa qualità, è irrilevante per quanto riguarda la paziente. La situazione può cambiare solo col cambiamento della paziente. Della madre non si può più cambiare nulla perché è morta. E non si può sollecitare l'amica al cambiamento. Se la paziente vuole cambiare, è una faccenda che riguarda proprio lei. Che quella certa qualità apparisse già nella madre, indica che si tratta di qualcosa di infantile. Cosa hanno in comune il rapporto della paziente con la madre e con l'amica? L'elemento comune è un forte, appassionato bisogno d'amore, dalla cui passionalità la paziente si sente sopraffatta. Questo bisogno ha le caratteristiche della brama infantile e incontenibile, che è notoriamente cieca. Si tratta quindi di una parte di libido non educata, non differenziata, né umanizzata, che possiede ancora il carattere coattivo dell'istinto, che dunque non è stata addomesticata. Per una cosa del genere un animale è un simbolo assolutamente appropriato. Però perché l'animale è proprio un granchio? La paziente vi associa la malattia del cancro, di cui la signora X è morta, circa alla stessa età che ha la nostra paziente. Si dovrebbe trattare quindi di un indizio d'identificazione con la signora X. Dobbiamo perciò indagare su questa signora X. Ecco cosa la paziente racconta di lei: la signora X diventò presto vedova, era una donna molto allegra e amante della vita. Ebbe una serie di avventure con vari uomini, in particolare con una strana persona, un artista dotato, che anche la paziente conosceva personalmente e che aveva sempre suscitato in lei una impressione di strano fascino e d'inquietudine. Un'identificazione si può verificare sempre e soltanto sulla base di una somiglianza inconscia, non realizzata. Ebbene qual è la somiglianza tra la nostra paziente e la signora X? A quel punto mi è riuscito di far tornare in mente alla paziente una serie di fantasie e sogni precedenti che avevano mostrato con chiarezza che anche la paziente aveva in sé una vena di leggerezza, che lei però reprimeva sempre con angoscia, perché attraverso questa tendenza, che percepiva oscuramente dentro di sé, temeva di poter essere sedotta ad un cambiamento immorale nella sua vita. Così abbiamo ottenuto un altro contributo essenziale alla conoscenza dell'elemento «animalesco», si tratta di nuovo di quella bramosia istintuale non domata, che però in questo caso si rivolge verso gli uomini. Contemporaneamente capiamo ora anche un altro motivo per cui lei non vuole lasciare la sua amica: si deve aggrappare a lei per non cadere in questa tendenza che le appare di gran lunga più pericolosa. Quindi si mantiene al livello infantile, omosessuale, che però le serve da protezione. (Sulla base dell'esperienza questo risulta essere uno dei motivi più efficaci che spingono a rimanere legati a rapporti inadeguati e infantili.) In questo elemento sta però anche la sua salute, il germe della futura personalità sana che non arretra impaurita di fronte al rischio della vita. La paziente aveva tratto però un'altra conseguenza dal destino della signora X. Aveva considerato la sua improvvisa malattia e la sua morte precoce come una punizione del destino per la sua vita leggera, che la paziente aveva sempre invidiato (tuttavia senza ammetterlo). Quando la signora X era morta la paziente aveva assunto un'aria molto triste e moralistica, che nascondeva una gioia «umana, fin troppo umana». Per punirsi di ciò e tenendo sempre presente l'esempio della signora X, la paziente si ritrasse dalla vita rifiutando un ulteriore sviluppo e si addossò il tormento di questa amicizia insoddisfacente. Naturalmente tutto il contesto non le era certo chiaro, altrimenti non si sarebbe mai comportata così. Ma l'esattezza di questa constatazione era facilmente dimostrabile dal materiale a disposizione. Ma non siamo ancora affatto alla conclusione della storia di questa identificazione. La paziente rilevò in seguito che la signora X era in possesso di capacità artistiche non indifferenti, che si erano sviluppate in lei solo dopo la morte del marito e che avevano portato anche all'amicizia coll'artista. Questo sembra essere uno degli elementi essenziali dell'identificazione, se ricordiamo il racconto della paziente, cioè quanto fosse grande e singolarmente affascinante l'impressione che lei aveva avuto dell'artista. Un fascino di questo tipo non parte mai esclusivamente da una persona verso l'altra, bensì è un fenomeno di relazione che richiede due persone, in quanto la persona affascinata deve recare una disposizione corrispondente. Questa disposizione le deve però essere inconscia, altrimenti non si verifica alcun effetto affascinante. Il fascino è un fenomeno coattivo, a cui manca una motivazione cosciente, cioè non è un processo volontario, bensì un fenomeno che emerge dall'inconscio e si impone coattivamente alla coscienza. Tutte le costrizioni nascono da motivi inconsci. C'è quindi da supporre che la paziente debba avere una disposizione simile (inconscia) a quella dell'artista. E perciò si è identificata con questo artista. La paziente si è quindi identificata con un uomo. A questo punto ci ricordiamo subito dell'analisi del sogno in cui abbiamo incontrato l'accenno all'elemento «virile» (il piede). Effettivamente la paziente svolge un ruolo del tutto maschile nei confronti dell'amica; lei è la persona attiva, che domina di continuo, che comanda la sua amica e talvolta la costringe anche con una certa forza a fare qualcosa che solo la paziente desidera. La sua amica è decisamente femminile, anche nell'aspetto esteriore, mentre la paziente anche esteriormente ha una certa figura mascolina. Anche la sua voce è più forte e profonda di quella dell'amica. La signora X viene descritta come una donna molto femminile, paragonabile per tenerezza e amabilità alla sua amica, a quanto dice la paziente. Questo ci conduce su una nuova traccia: la paziente svolge evidentemente il ruolo dell'artista nei confronti della signora X, ma trasposto sulla sua amica. Così completa inconsciamente la sua identificazione con la signora X e il suo amante. Quindi, nonostante tutto, vive quella vena di leggerezza che aveva così angosciosamente represso, ma non la vive consciamente, bensì è lei ad essere manovrata da questa stessa tendenza inconscia. Ora sappiamo già moltissimo del granchio: esso contiene la psicologia interiore di questa parte ai libido non domata. Le identificazioni inconsce la ripresentano di continuo. Esse posseggono questa forza perche sono inconsce e perciò non le si può attaccare colla comprensione e la correzione. Il granchio è dunque il simbolo dei contenuti inconsci. Questi contenuti naturalmente vogliono sempre ricondurre la paziente dall'amica. (Il granchio cammina all'indietro.) Però il rapporto coll'amica equivale a malattia, infatti per questo è diventata nervosa. (Di qui l'associazione della malattia.) Questa parte presa ora in esame appartiene ancora, in senso stretto, ali analisi a livello dell'oggetto. Non dobbiamo però dimenticare che arriviamo a questo punto solo attraverso l'applicazione del livello del soggetto, che si dimostra così un importante principio euristico. Ci si potrebbe ben accontentare del risultato fin qui raggiunto. Ma dobbiamo qui soddisfare le esigenze della teoria, infatti non abbiamo ancora valorizzato tutte le associazioni e il significato della scelta del simbolo non è ancora consolidato a sufficienza. Prendiamo ora in considerazione l'osservazione della paziente che diceva che il granchio era nascosto nel ruscello, sott'acqua, e lei all'inizio non lo aveva visto. Non ha visto le relazioni inconsce che sono state appena spiegate, stavano nascoste sott'acqua. Il ruscello è però l'ostacolo che le impedisce di passare dall'altra parte. L'hanno ostacolata proprio quelle relazioni inconsce che la legavano all'amica. L'ostacolo era proprio l'inconscio. L'acqua sta dunque in questo caso a significare l'inconscio, o ancora meglio, l’incoscienza, l'essere nascosto, perché il granchio è anche qualcosa di inconscio, ma rappresenta quella parte della libido nascosta nell'inconscio. I dominanti dell'inconscio sovrapersonaleOra ci resta ancora un compito da svolgere: le relazioni inconsce comprese a livello dell'oggetto devono essere elevate anche al livello del soggetto. A questo scopo dobbiamo separarle dall'oggetto e considerarle come relazioni che stanno in rapporto a immagini di natura soggettiva, a complessi di funzioni proprie dell'inconscio della paziente. Se portiamo la signora X a livello del soggetto, ci appare come colei che ha fatto vedere alla paziente ciò che la paziente stessa temeva, perché lo desiderava inconsciamente. La signora X è dunque un'immagine di ciò che la paziente vorrebbe diventare, eppure, al tempo stesso, non vuole. In un certo senso la signora X rappresenta un'immagine futura del carattere della paziente. La figura inquietante dell'artista non si lascia interpretare a livello del soggetto perché l'elemento delle capacità artistiche inconsce latenti nella paziente è già impersonato dalla signora X. Si potrebbe dire a ragione che l'artista sia l'immagine che la paziente ha dell'elemento virile, che non è stato realizzato consciamente e perciò si trova nell'inconscio. In un certo senso è vero, in quanto la paziente effettivamente si illude a questo riguardo. Si considera particolarmente fine, sensibile e femminile, e nient'affatto maschile. Fu quindi sdegnata e stupefatta quando le feci notare i suoi tratti mascolini. Ma non si può riscontrare nei suoi tratti mascolini un che d'inquietante, di affascinante. In lei ciò sembra mancare del tutto. Eppure deve essere nascosto da qualche parte, perché è stata lei stessa a produrre questo sentimento. Se non si può rintracciare un elemento del genere, l'esperienza ci insegna che è sempre proiettato. Ma su chi è proiettato? Ancora sull'artista? E’ sparito da tempo dalla sua cerchia e non può aver portato con sé la proiezione, perché essa è ancorata all'inconscio della paziente. No, una proiezione del genere è sempre attuale, cioè ci deve essere da qualche parte una persona su cui questo elemento viene attualmente proiettato, altrimenti lei lo percepirebbe dentro di sé. Ritorniamo allora di nuovo a livello dell'oggetto, perché diversamente non possiamo rintracciare questa proiezione. La paziente non conosce alcun uomo che significhi per lei qualcosa di particolare, tranne me, che come suo medico, significo molto per lei. Ha dunque proiettato questo elemento su di me. Tuttavia io non avevo mai notato niente del genere. Ma gli elementi più raffinati non si presentano mai alla superficie, bensì emergono sempre al di fuori dell'ora di trattamento analitico. Chiedo prudentemente: «Mi dica, come le appaio quando lei non è qui da me? Sono sempre lo stesso?». Lei: «Quando sono da lei, la trovo molto piacevole, ma quando sono sola o non l'ho più vista da diverso tempo, allora la sua immagine si trasforma spesso in modo curioso. A volte lei mi appare del tutto idealizzato e poi di nuovo in modo diverso». Qui si bloccò, le venni incontro: «Ah sì, e come?». Lei: «A volte molto pericoloso e inquietante come un mago cattivo o un demone. Non so come arrivo a idee del genere. Lei certo non è così». Quell'elemento era dunque in me per effetto di transfert, e perciò mancava nel suo inventario psichico. Veniamo così a conoscere un ulteriore elemento essenziale. Ero stato contaminato (identificato) coll'artista; naturalmente nella fantasia inconscia lei è nei miei confronti la signora X. Potei facilmente dimostrarle questo fatto sulla base del materiale emerso in precedenza (le fantasie sessuali). Ma allora sono io stesso l'ostacolo, il granchio che le impedisce di passare dall'altra parte. Se in questo caso ci limitassimo al livello oggettivo, ci troveremmo in un bel pasticcio. A cosa gioverebbe la mia spiegazione: «Ma io non sono l'artista, non ho nulla di inquietante, non sono un mago cattivo», ecc.? Ciò lascerebbe la paziente del tutto indifferente, perché lo sa bene quanto me. La proiezione continua ad esistere e io sono veramente l'ostacolo per il suo ulteriore progresso. Su questo punto si sono bloccati già diversi trattamenti. Perché non c'è alcun altro modo per sfuggire alla stretta dell'inconscio, se non che il medico si innalzi a livello del soggetto, cioè che dichiari di rappresentare una certa immagine. Ma un'immagine di cosa? Qui è la difficoltà più grande. «Beh», dirà il medico, «un'immagine di qualcosa che sta nell'inconscio della paziente.» A cui lei replica: «Cosa, io sarei un uomo, e per di più un demonio e un mago cattivo, inquietante e affascinante? Mai e poi mai, questo non lo posso accettare, è una sciocchezza. Piuttosto credo che lei lo sia». Ha veramente ragione a parlare così. E’ troppo insensato voler trasferire qualcosa del genere sulla sua persona. Lei, tanto quanto il medico, non può farsi trasformare in un demonio. Nei suoi occhi lampeggia qualcosa, una espressione cattiva le appare in volto, lo sfavillio di un odio sconosciuto, mai visto, qualcosa di simile ad un serpente sembra strisciare e crescere dentro di lei. Vedo di colpo di fronte a me la possibilità di un mortale equivoco. Cos'è? Si tratta di una delusione amorosa? Di un'offesa? Di una svalutazione? Nel suo sguardo c'è qualcosa di rapace, qualcosa veramente demoniaco? Allora è veramente un demonio? O sono io stesso il rapace, il demone, e di fronte a me sta una vittima tutta impaurita, che cerca di difendersi colla forza animalesca della disperazione dalla mia malia? Deve essere tutto una sciocchezza, un abbaglio fantastico. Cosa ho toccato? Quale nuova corda ho fatto suonare? È certo solo un momento transitorio. L'espressione sul volto della paziente diventa di nuovo tranquilla e come sollevata dice: «È strano, adesso avevo l'impressione che lei avesse toccato quel punto che non riesco mai a superare nel rapporto con la mia amica. È un sentimento terribile, qualcosa di disumano, malvagio, orribile. Non riesco assolutamente a descrivere quanto è inquietante questo sentimento. A volte questo sentimento mi fa odiare e disprezzare la mia amica, sebbene io cerchi di oppormi con tutte le forze». Questa dichiarazione getta una luce illuminante su ciò che è accaduto in precedenza: sono subentrato al posto dell'amica. Il ghiaccio della rimozione è rotto. La paziente, senza saperlo, è entrata in una nuova fase della sua esistenza. Ora so che tutto ciò che c'era di doloroso e di malvagio nel rapporto con l'amica ricadrà su di me, certo anche gli aspetti positivi, ma in forte contrasto con quell'incognita misteriosa che la paziente non è mai riuscita a superare. Quindi siamo a una nuova fase del transfert, che però non lascia ancora intravedere con chiarezza in cosa consista l'incognita che è proiettata su di me. È certo che se la paziente si ferma in questa forma di transfert, vi è la minaccia di gravissimi fraintendimenti, perché allora mi dovrà trattare come trattava la sua amica, cioè l'incognita sarà sempre da qualche parte nell'aria a causare malintesi. Risulterà che lei vede il demone malvagio dentro di me, poiché non può certamente ammettere di esserlo lei stessa. In questo modo si verifica ogni sorta di conflitto insolubile. E un conflitto insolubile significa paralisi della vita. C'è anche un'altra possibilità: la paziente applica la vecchia protezione contro questa nuova difficoltà e ignora il punto oscuro, cioè rimuove di nuovo, invece di mantenere il livello cosciente che rappresenta l'esigenza naturale e necessaria di tutto il metodo. Con questo non abbiamo ottenuto nulla, al contrario, ora la minaccia dell'incognita parte dall'inconscio, il che è molto più spiacevole. Ogni qual volta emerge un elemento così inaccettabile, bisogna rendersi conto esattamente se questo elemento si rivelerà una qualità umana o meno. «Mago» e «demonio» dovrebbero rappresentare delle qualità con caratteristiche tali da poter dire subito: non sono qualità umane, bensì mitologiche. «Mago» e «demone» sono figure mitologiche che esprimono il sentimento ignoto, «inumano», che aveva assalito la paziente. Questi attributi non si possono assolutamente rifenre a una personalità umana, sebbene vengano di regola proiettati sui nostri simili sotto forma di giudizi intuitivi e non abbastanza analizzati criticamente, provocando sempre grandi danni nei rapporti umani. Tali attributi indicano sempre che si tratta di una proiezione di contenuti dell'inconscio sovrapersonale o assoluto. Perché i «demoni» non sono reminiscenze personali, e nemmeno i «maghi malvagi», anche se naturalmente ognuno ha sentito parlare o ha letto di queste cose. Se si è sentito parlare del serpente a sonagli, non si definirà una lucertola o un orbettino come serpente a sonagli, e con la stessa eccitazione corrispondente, semplicemente perché si è stati spaventati dal fruscio di una lucertola. Così non si definirà nemmeno un nostro simile come demone, a meno che una certa impressione demoniaca non sia veramente associata a lui. Se l'impressione demoniaca fosse veramente una parte del suo carattere personale, si dovrebbe manifestare dappertutto, allora questa persona sarebbe un demonio, una specie di lupo mannaro. Si tratta però di mitologia, cioè di psiche collettiva e non di psiche individuale. In quanto noi attraverso il nostro inconscio partecipiamo della psiche collettiva storica, viviamo, naturalmente in modo inconscio, in un mondo di lupi mannari, demoni, maghi, ecc., perché queste sono cose che hanno riempito di eccitazioni fortissime tutte le epoche precedenti alla nostra. Allo stesso modo partecipiamo di dèi e diavoli, di santi e criminali. Sarebbe però insensato volersi attribuire personalmente queste possibilità presenti allo stato potenziale nell'inconscio. È quindi necessario effettuare una divisione il più netta possibile tra ciò che è da attribuire alla persona e l'impersonale. Con ciò naturalmente non si deve assolutamente negare l'eventuale esistenza e efficacia dei contenuti dell'inconscio assoluto. In quanto contenuti della psiche collettiva sono però contrapposti alla psiche individuale e distinti da essa. Nell'uomo primitivo queste cose non erano mai separate dalla coscienza individuale, perché la proiezione di dèi, demoni, ecc. non era considerata una funzione psicologica, bensì si trattava semplicemente di realtà concrete. Non si comprese mai il loro carattere di proiezione. Solo nell'Illuminismo si scoprì che gli dèi non esistevano veramente, bensì erano solo proiezioni. E con ciò erano liquidati. Ma la funzione psicologica a loro corrispondente non era liquidata, bensì cadde nell'inconscio, e a causa di ciò gli uomini si avvelenarono per un eccesso di libido che prima era investito nel culto dell'immagine divina. La svalutazione e la rimozione di una funzione così forte come quella religiosa, ha naturalmente notevoli conseguenze per la psicologia del singolo. Attraverso il riflusso di questa libido l'inconscio viene straordinariamente rinforzato, cosicché comincia ad esercitare con i suoi contenuti arcaici collettivi un potente influsso coattivo sulla coscienza. L'Illuminismo si concluse notoriamente con gli orrori della rivoluzione francese. Anche attualmente viviamo di nuovo questa ribellione della forze distruttive inconsce della psiche collettiva. L'effetto è un massacro senza precedenti. È proprio ciò che l'inconscio cercava. La sua posizione era stata in precedenza rafforzata in modo smisurato dal razionalismo della vita moderna, che ha svalutato l'irrazionale e perciò ha fatto sprofondare la funzione dell'irrazionale nell'inconscio. Una volta che la funzione si trova nell'inconscio, agisce da lì in modo devastante e incontenibile come una malattia inguaribile, il cui focolaio non può essere annientato perché è invisibile. Allora l'individuo, come pure la popolazione, è costretto a vivere l'irrazionale e deve usare il suo più alto idealismo e le battute di spirito migliori per rappresentare nel modo più compiuto la pazzia dell'irrazionale. In piccolo lo vediamo nella nostra paziente, che ha fuggito la possibilità di vita che le appariva irrazionale (la signora X), per vivere la stessa cosa in forma patologica e con enorme sacrificio sperimentandola nell'oggetto inadatto. Non c'è altra possibilità che riconoscere l'irrazionale come una funzione psicologica necessaria, in quanto esistente, e accettare i suoi contenuti, non come realtà concrete (sarebbe un passo indietro), bensì come realtà psicologiche-, si tratta veramente di realtà, in quanto sono entità operanti. L'inconscio collettivo è il precipitato di tutte le esperienze mondiali di ogni epoca, è quindi un'immagine del mondo che si è venuta formando nel corso di eoni. In questa immagine si sono delineati nel corso del tempo determinati tratti, i cosiddetti dominanti. Questi dominanti rappresentano i dominatori, gli dèi, sono cioè immagini di leggi e princìpi dominanti, i quali si ripresentano con regolarità media nel fluire delle immagini che il cervello ha assorbito dal fluire dei processi secolari. In quanto le immagini depositate nel cervello sono riproduzioni relativamente fedeli degli eventi psichici, i loro dominanti, cioè i loro tratti generali e fondamentali, quali si sono venuti delineando attraverso l'accumularsi di esperienza dello stesso genere, corrispondono anche a certi tratti fisici generali e fondamentali. È quindi possibile trasporre delle immagini inconsce sotto forma di concetti rappresentativi direttamente sulla realtà fisica, così per esempio l’etere, la sostanza primordiale alla base del respiro o della psiche, che è rappresentato per così dire nelle concezioni di ogni parte del mondo, e poi l'energia, la forza magica, che è diffusa altrettanto universalmente. A causa della loro affinità con i fatti fisici i dominanti si manifestano di solito sotto forma di proiezione, e se le proiezioni sono inconsce, si manifestano nelle persone vicine, di regola come sottovalutazioni o sopravvalutazioni abnormi, come fonti di malintesi, litigi, fantasticherie e follie d'ogni genere. Perciò si suol dire, «si trasforma quella persona in un dio» oppure «quel tipo è la bête noîre della tale persona». Da ciò nascono anche forme di miti moderni, cioè dicerie fantastiche, sfiducia e pregiudizi. I dominanti dell'inconscio collettivo sono perciò elementi estremamente importanti e che svolgono un ruolo molto rilevante a cui bisogna destinare tutta l'attenzione possibile. I dominanti non devono essere repressi, bensì sottoposti ad attenta riflessione. Poiché si presentano di solito come proiezioni e poiché le proiezioni (a causa dell'affinità delle immagini inconsce con l'oggetto) si fissano laddove è presente uno stimolo esterno, la loro valutazione è particolarmente difficile. Se quindi qualcuno proietta il dominante «diavolo» su una persona a lui vicina, ciò avviene perché questa persona ha qualcosa in sé che rende possibile la fissazione del dominante «diavolo». Ma con ciò non si vuole assolutamente dire che questa persona sia un diavolo, anzi, può essere una persona particolarmente buona, che però è incompatibile colla persona che effettua la proiezione e quindi tra i due nasce un effetto «diabolico». Anche chi effettua la proiezione non è detto che sia un diavolo: sebbene debba riconoscere di avere anche lui dentro di sé l'elemento diabolico, e addirittura di essere il primo ad esserci caduto dentro in quanto è lui a proiettarlo, non è per questo «diabolico», bensì può essere un uomo altrettanto onesto come l'altro. L'emergere del dominante «diavolo» in un caso del genere significa che le due persone sono incompatibili (per ora e per il prossimo futuro), per cui l'inconscio li separa e li tiene lontani l'uno dall'altro. Uno dei dominanti che si incontra quasi regolarmente nell'analisi di proiezioni di contenuti collettivi-inconsci è il «demone magico» che esercita un effetto prevalentemente inquietante. Un buon esempio è il Golem di Meyrink, come pure il mago tibetano nei Pipistrelli di Meyrink, che scatena magicamente la guerra mondiale. Naturalmente Meyrink non ne è venuto a conoscenza tramite me, bensì lo ha elaborato liberamente dal suo inconscio, conferendo immagine e parola a un sentimento simile a quello che la paziente aveva proiettato su di me. Il dominante «mago» si presenta anche in Zarathustra,; in Faust è per così dire l'eroe stesso. L'immagine di questo demone è il gradino più basso e più antico del concetto di dio. È il dominante del mago primitivo originario, una personalità dalle doti singolari e piena di forza magica. Questa figura appare molto spesso nell'inconscio della paziente come un tipo dalla pelle scura e di razza mongola. (Mi rendo conto che queste cose mi erano note già molto prima che Meyrink le scrivesse.) Con la conoscenza dei dominanti dell'inconscio assoluto si è fatto un importante passo in avanti. L'influenza magica o demoniaca del nostro simile sparisce nel momento in cui quel sentimento inquietante è ricondotto a una grandezza definitiva dell'inconscio assoluto. Ora ci troviamo però davanti a un nuovo e inatteso lavoro: cioè il problema di come l'Io si debba confrontare con questo non-Io psicologico. Ci si può accontentare della constatazione dell'esistenza operativa dei dominanti inconsci e abbandonare la cosa a se stessa? In questo modo si creerebbe uno stato di costante dissociazione, un conflitto all'interno del soggetto tra la psiche individuale e la psiche collettiva. Da un lato avremmo un Io differenziato e moderno, dall'altro una specie di cultura negroide, una condizione del tutto primitiva. Avremmo portato alla nostra attenzione, senza però arrivare ad un confronto, ciò che oggi è veramente attuale, cioè la crosta della civilizzazione su una bestia dalla pelle scura. Ma una tale dissociazione esige subito una sintesi e uno sviluppo di ciò che non si è evoluto. Bisogna arrivare ad una unificazione di questi due elementi. Pnma di affrontare questo nuovo problema, torniamo prima al sogno da cui abbiamo preso le mosse. Grazie all'intera discussione siamo arrivati ad una comprensione del sogno, particolarmente di una sua parte, e cioè l'angoscia. Questa angoscia è una paura demoniaca dei dominanti dell'inconscio collettivo. Ci rendiamo conto che la paziente si identifica colla signora X e con ciò rivela di essere in rapporto anche coll'artista che la mette a disagio. È risultato che il medico (io) era stato identificato con l'artista e poi si è notato che io, preso a livello del soggetto, ero un'immagine del dominante «mago» proveniente dall'inconscio collettivo. Tutto ciò è nascosto nel sogno dal simbolo del granchio, cioè ciò che procede a ritroso. Il granchio è il contenuto vivo dell'inconscio e con un'analisi a livello dell'oggetto non si può né chiarirlo in modo esauriente, né renderlo innocuo. Noi siamo riusciti a distaccare i contenuti mitologici o collettivo-psicologici dagli oggetti della coscienza e a consolidarli come realtà psicologiche al di fuori della psiche individuale. Fintanto che l'inconscio assoluto è unito alla psiche individuale in modo indifferenziato, non si può verificare alcun progresso: per usare il linguaggio del sogno, il limite non può essere superato. Se però l'autrice del sogno si accinge a superare il limite, allora l'inconscio prima passato inosservato diventa attivo, l'afferra e la tira in basso. Il sogno e il suo materiale caratterizzano l'inconscio assoluto da un lato come un animale inferiore che vive nascosto sott'acqua, in profondità, dall'altro come una malattia pericolosa che può essere guarita solo se affrontata per tempo (tagliata, asportata). Abbiamo già visto come questa caratterizzazione sia pertinente. Il simbolo dell'animale indica in particolare, come già detto, qualcosa di extraumano, cioè di sovrapersonale, perché i contenuti dell'inconscio assoluto non sono solo residui di funzioni arcaiche specificamente umane, bensì anche residui di funzioni degli antenati animaleschi dell'uomo, la cui durata è stata infinitamente maggiore dell'epoca relativamente breve che riguarda l'esistenza specificamente umana. Questi residui, se attivi, sono quanto mai adatti non solo a bloccare il progresso dell'evoluzione, ma a portare ad una regressione, finché non è consumata la quantità di energia che l'inconscio assoluto ha attivato. L'energia può però essere riutilizzata poiché, attraverso un confronto consapevole con l'inconscio assoluto diventa disponibile. Le religioni hanno creato in modo concreto questo ciclo energetico attraverso il culto degli dèi (i dominanti dell'inconscio assoluto). Questa modalità è però per noi troppo in contraddizione con l'intelletto e la sua morale della conoscenza, per poterla considerare vincolante o anche solo possibile. Se invece consideriamo le immagini dell'inconscio come dominanti collettivi-inconsci, questa supposizione non contraddice in nessun modo la nostra coscienza intellettuale. Questa soluzione si può accettare anche dal punto di vista razionale. Abbiamo così raggiunto la possibilità di confrontarci con i residui attivati della stona della nostra specie. Questo confronto rende possibile il superamento del limite esistente finora e si chiama quindi funzione trascendente, in altre parole un passo in avanti verso un atteggiamento che nel sogno è rappresentato dall'altra riva del ruscello. Salta agli occhi il parallelismo col mito dell'eroe: molto spesso la tipica battaglia dell'eroe col mostro (il contenuto inconscio) ha luogo sulla sponda di un fiume o a un guado, particolarmente nei miti indiani che ci sono noti attraverso il poema Hiawatha di Longfellow. Nella battaglia decisiva l'eroe (ad esempio Jonas) viene regolarmente inghiottito dal mostro, come ha dimostrato Frobeniusx sulla base di un'ampia documentazione. Ma all'interno del mostro l'eroe comincia a confrontarsi a modo suo con la bestia, mentre l'animale nuota con lui verso est, verso il sorgere del sole: taglia una parte preziosa delle viscere, ad esempio il cuore del mostro, essenziale alla vita (appunto la preziosa energia con cui l'inconscio è stato attivato). Così uccide il mostro, che va alla deriva finché tocca terra e lì l'eroe, rinato attraverso la funzione trascendente (il cosiddetto viaggio notturno per mare, come lo ha definito Fro-benius), esce fuori, spesso insieme a tutti quelli che il mostro ha inghiottito in precedenza. In tal modo si ricreano le condizioni normali precedenti, in quanto l'inconscio non possiede più una posizione preminente poiché è stato privato della sua energia. Ecco come il mito, che costituisce un sogno del popolo, rappresenta in modo molto vivo il problema che impegna anche la nostra paziente. (Ho trattato ampiamente i paralleli del mito dell'eroe nel mio libro: Trasformazioni e simboli della libido). Il problema del confronto coll'inconscio assoluto è un problema a se stante. Mi devo qui accontentare di fornire una visione generale d'insieme dello sviluppo della nuova teoria dell'inconscio fino alla funzione trascendente e riservando l'esposizione della funzione trascendente a un'opera successiva. Lo sviluppo dei tipi nel processo analiticoL'esposizione dell'analisi dell'inconscio sarebbe incompleta se non si spendesse una parola su una altro problema, ossia se l'evoluzione sia identica in entrambi i tipi psicologici. In effetti nei due casi è diversa sia l'evoluzione, che la concezione dell'inconscio. Sebbene ci si debba sforzare di trovare una formulazione dalla validità il più possibile generale, d'altro canto dobbiamo ricordarci che le due concezioni dei tipi sono diverse e che una formulazione generalmente valida è possibile solo se si tengono presenti in modo uguale i due punti di vista. Non mi nascondo il fatto che questo argomento sia meno interessante per il profano che per l'esperto. Tuttavia alcuni punti di vista sono di carattere generale cosicché anche il profano non dovrebbe restare a mani vuote nella lettura di questo capitolo. Consideriamo prima la concezione dell'inconscio. Ho qui introdotto l'inconscio sotto il concetto di funzione psicologica, come somma di quei contenuti psichici che non raggiungono il valore soglia della coscienza. Ho poi suddiviso il materiale inconscio in reminiscenze, combinazioni e tendenze personali, cioè da attribuire all'individuo, e in contenuti impersonali, collettivi, che non sono riconducibili all'individuo. I contenuti della psiche sono in ultima analisi immagini che rappresentano da una parte la funzione, dall'altra gli oggetti e il mondo. La coscienza contiene le immagini recenti degli oggetti, l'inconscio personale le immagini degli oggetti appartenenti al passato dell'individuo, nella misura in cui sono dimenticate o rimosse, l'inconscio assoluto o collettivo contiene le immagini storiche del mondo sotto forma di immagini originarie o temi mitologici. Tutte le immagini psichiche presentano due aspetti: un aspetto è rivolto all'oggetto, è una riproduzione il più possibile fedele dell'oggetto e non pretende, né deve avere altri significati. L'altro aspetto è invece rivolto alla psiche, cioè alla funzione psichica e alle sue leggi particolari. Fornisco un esempio di un'immagine originaria dal mito dell'eroe: ad occidente c'è una antenata demoniaca dalla bocca larga. L'eroe vi striscia dentro; in quel momento un uccellino si mette a cantare, la vecchia chiude la bocca e l'eroe è sparito. L'aspetto dell'immagine rivolto all'oggetto fisico dice così: la sera il sole scende giù in bocca al mare. A quest'ora un piccolo uccello si mette a cantare (il che è un fatto oggettivo) e il sole sparisce all'interno del mare. L'aspetto dell'immagine rivolto alla psiche, all'idea, dice invece così: l'energia contenuta nella coscienza sparisce (come il sole la sera) nel mostro dell'inconscio. Se consideriamo l'inconscio collettivo sotto l'aspetto della psiche o dell'idea, allora appare come un qualcosa completamente diverso dall'oggetto e deve essere anche separato, astratto dall'oggetto, perché i suoi contenuti riescano a completare l'idea. Se invece consideriamo l'inconscio collettivo sotto l'aspetto dell'oggetto fisico, come un'immagine dell'oggetto, allora appare più debole e oscuro dell'oggetto stesso, e perciò può essere completato solo se oggettivizzato, cioè proiettato, nell'oggetto stesso. Come ho spiegato in precedenza, ci sono due tipi psicologici umani chiaramente distinguibili che io ho definito tipo introverso e tipo estroverso. L'introverso è caratterizzato dal modo di essere del pensiero, l'estroverso dal modo di essere del sentimento. Sono, come ho mostrato, del tutto diversi nel loro rapporto con l'oggetto: l'introverso si astrae dall'oggetto e vi riflette su, l'estroverso si rivolge verso l'oggetto e vi si immedesima. Per l'introverso l'importanza risiede nell'Io, per l'estroverso nell'oggetto. Il primo tiene molto a preservare l'Io, il secondo a preservare l'oggetto. I due tipi avranno un atteggiamento completamente diverso verso l'inconscio: l'introverso si dovrà impossessare dell'aspetto ideale dell'immagine inconscia, l'estroverso invece dell'aspetto della riproduzione fisica. L'introverso, per arrivare all'idea astratta, purificherà il più possibile l'aspetto ideale dalle «scorie» del contributo concreto di cui è composta la riproduzione fisica, l'estroverso invece purificherà il più possibile la riproduzione fisica dall'aggiunta «fantastica» dell'impronta ideale. Il primo si innalzerà verso un mondo ideale nel tentativo di superare l'influsso perturbatorio dell'inconscio, l'altro invece avvicinerà l'immagine inconscia il più possibile all'oggetto attraverso la proiezione sull'oggetto fisico e così si libererà dalla stretta dell'inconscio. Ciò che nell'immagine inconscia è per l'estroverso aggiunta fantastica e perturbatrice, è per l'introverso la cosa più preziosa perché è il germe dell'idea pura, e al contrario, ciò che per l'introverso è soltanto l'«incompiutezza» della concretezza, un rimasuglio di provenienza fisica, è per l'estroverso l'indizio più prezioso, il ponte con cui si può collegare l'inconscio coll'og- getto. Da questa esposizione si capisce chiaramente che i due tipi percorrono due vie opposte durante lo sviluppo del loro inconscio e perciò arrivano a due estremi opposti, l'uno all'idea, l'altro all'oggetto del sentimento, la persona amata. Le caratteristiche psicologiche dei due tipi si sono così spinte al culmine; ma secondo la legge dell'enantiodromia è giunto anche il momento in cui subentra legittimamente l'«altra» funzione, cioè il sentimento per l'introverso e il pensiero per l'estroverso. L'introverso raggiunge quindi la funzione autonoma del sentimento che gli mancava attraverso una differenziazione e un innalzamento del proprio pensiero; l'estroverso invece raggiunge il pensiero attraverso un amore che si differenzia sempre più. Queste funzioni finora secondarie si trovano inizialmente nell'inconscio e raggiungono gradualmente la coscienza nel corso del trattamento. All'inizio sono quindi funzioni inconsce in uno stato più o meno incompatibile con la coscienza, hanno cioè le tipiche qualità dei contenuti inconsci. Queste qualità sono tali da non essere tollerate dalla coscienza. Il malato di nervi Schreber dice una volta in modo molto pertinente che la lingua del buon Dio (= l'inconscio) è «un tedesco all'antica, ma poderoso», di cui fornisce alcuni esempi eloquenti. Poiché la controfunzione che emerge dall'inconscio nella coscienza è così diversa da ciò che la coscienza sembra essere in grado di accettare, nasce la necessità di una tecnica per confrontarsi con la controfunzione. È impossibile accettare la controfunzione tale e quale com'è, perché presenta sempre caratteristiche e circostanze concomitanti proprie dell'inconscio assoluto. Se quindi attraverso lo sviluppo descritto in precedenza, ad esempio l'estroverso ha raggiunto un atteggiamento assolutamente vero e libero da ogni fantasma nei confronti dell'oggetto, allora potrà rivolgere la sua attenzione a quelle «scorie» (che per l'introverso erano i germi preziosi delle idee), da cui svilupperà idee simili a quelle che l'introverso ha già sviluppato. AI contrario l'introverso potrà ora indirizzare la sua attenzione a quel materiale che prima doveva rifiutare considerandolo un'inutile deviazione che portava alla realtà fisica, cioè effettuerà quella chiarificazione e quell'esame dei rapporti basati sul sentimento, che l'estroverso ha già compiuto. Lo sviluppo della controfunzione finora inconscia conduce, al di là del tipo, all'individuazione e quindi a un nuovo rapporto col mondo e con lo spirito. Il processo che sopraggiunge con la scoperta della parte complementare di ogni tipo è appunto la funzione trascendente: essa porta, attraverso l'esame e la chiarificazione dei sentimenti e delle idee inconsce, ad un nuovo atteggiamento che emerge grazie alla controfunzione finora trascurata. Sulla base del principio «naturam si sequemur ducem, nunquam aberrabimus», abbiamo seguito l'impulso naturale del pensatore di portare al più alto compimento il principio del pensiero, e l'impulso del sensitivo di seguire fino in fondo il principio del sentire. È così nato quell'eccesso salutare, vale a dire la brama, l'esigenza della funzione compensatoria. Perché col pensiero l'uno cade in un mondo senza vita e gelido, fatto di idee cristalline, col sentimento l'altro cade in un mare infinito di fluttuazioni interminabili di sentimenti. Il primo desidererà quindi un sentimento caldo e vivo, l'altro la certezza e fermezza restrittiva dell'idea. Attraverso questo processo compensatorio si raggiunge un arricchimento dell'individuo e ciò gli conferisce una maggiore certezza e la possibilità d'una armonia che trae alimento da se stessa. Attraverso l'assimilazione della controfunzione diventano disponibili nuove sorgenti interne all'individuo, le quali gli consentono un'indipendenza molto maggiore dalle condizioni esterne. Questa conquista è un indiscutibile vantaggio che quasi non si vorrebbe rivelare, se si considera ciò che gli è inevitabilmente connesso: infatti un nuovo orientamento dell'atteggiamento dell'individuo è in contrasto colla massa di coloro che hanno ancora il vecchio atteggiamento. Questo contrasto non è però uno svantaggio; è invece uno stimolo gradito ed efficace alla vita e al lavoro, perché così si crea quel gradiente di cui la nostra energia psichica ha bisogno per dispiegarsi. L'interpretazione dell'inconscioCenni generali per la terapiaDevo ancora richiamare l'attenzione su una condizione di carattere generale: nel corso di tutto il lavoro ho dato l'apparenza di collegare all'inconscio sempre l'idea d'un disturbo o perfino d'un pericolo. Sarebbe inesatto sottolineare il lato nefasto dell'inconscio. La mancanza di unità coll'inconscio è la fonte della sua pericolosità. Se ci riesce di creare quella funzione (o atteggiamento) che io definisco trascendente, si elimina la mancanza di unità e ci possiamo rallegrare dell'aspetto positivo dell'inconscio. Allora l'inconscio ci fornisce tutto quell'incoraggiamento e aiuto che una natura benigna può dare all'uomo in traboccante abbondanza. L'inconscio ha delle possibilità che sono del tutto precluse alla coscienza, perché esso dispone di tutti quei contenuti psichici al di sotto del valore soglia (sub-liminali), di tutto ciò che è stato dimenticato e trascurato e, per di più, della saggezza dell'esperienza derivante da innumerevoli millenni che è riposta nei tracciati reali e possibili del cervello umano. L'inconscio è continuamente all'opera e crea combinazioni del materiale a sua disposizione il quale serve a determinare i futuri sviluppi. Crea combinazioni subliminali e in prospettiva, come la nostra coscienza, con la differenza che sono decisamente superiori, per raffinatezza e portata, alle combinazioni della coscienza. L'inconscio può quindi rappresentare per gli uomini una guida senza pari. Il lettore non deve credere in nessun caso che questi cambiamenti psicologici complicati si verifichino in ogni singolo caso pratico. Il trattamento pratico si regola sulla base dell'esito terapeutico raggiunto. Il successo può, per così dire, presentarsi in qualsiasi stadio del trattamento, in modo del tutto indipendente dalla intensità o dalla durata della sofferenza. E al contrario il trattamento di un caso difficile può durare molto a lungo senza raggiungere livelli più avanzati. Esistono relativamente poche persone che per amore della propria evoluzione, dopo il raggiungimento del successo terapeutico, percorrono ulteriori stadi sulla via del cambiamento. Non c'è bisogno quindi di essere un caso difficile per dover percorrere fino in fondo tutte le fasi dell'evoluzione. In ogni caso raggiungono un più alto grado di differenziazione solo quelle persone che per natura hanno una determinazione e una vocazione in questa direzione, cioè una capacità e una tendenza a una maggiore differenziazione, in cui notoriamente le persone sono estremamente differenti tra loro, come pure le specie animali, tra cui ci sono quelle conservatrici e quelle evoluzioniste. La natura è aristocratica, ma non nel senso che ha riservato le possibilità di differenziazione solo alle specie più evolute. Ciò vale anche per la possibilità di uno sviluppo psicologico nell'uomo: non è riservata a individui particolarmente dotati. In altre parole: per raggiungere una notevole evoluzione psicologica non è necessaria né una particolare intelligenza, né altri tipi di talento, perché in questa evoluzione le qualità morali possono subentrare ed effettuare una integrazione, là dove l'intelligenza non basta. Non bisogna assolutamente credere che il trattamento consista nell'inculcare nella gente formule generali e tesi complicate. Non si tratta affatto di questo. Ognuno può conquistarsi ciò di cui ha bisogno, a modo suo e nel linguaggio che gli è proprio. Ciò che io ho qui esposto è una formulazione intellettuale che si basa su lavori scientifici preparatori di tipo empirico e teorico; non è però questo che viene discusso al solito nel lavoro pratico. Le piccole parti di casistica che ho inserito danno già una idea approssimativa di quale è la prassi. Il lettore si deve abituare all'idea che il nostro tipo di psicologia ha un aspetto del tutto pratico e un aspetto del tutto teorico. Non è soltanto un metodo di trattamento pratico o educativo, bensì anche una scienza teorica che ha attivi rapporti con le altre scienze a lei vicine. 10.ConclusioneIn conclusione devo chiedere scusa al lettore per aver osato trattare in queste poche pagine tante novità di difficile comprensione. Mi espongo al suo giudizio critico perché ritengo che sia dovere di chiunque, isolandosi, segua la propria strada, comunicare alla società che cosa ha scoperto nel suo viaggio di esplorazione, che si tratti di fresca acqua per l'assetato o di un deserto sabbioso frutto di sterile errore. L'uno aiuta, l'altro ammonisce. Ma non sarà la critica dei singoli contemporanei, bensì i tempi a venire, a decidere della verità o dell'errore delle nuove scoperte. Ci sono cose che oggi non sono ancora vere, che forse non possono ancora essere vere, ma forse lo saranno domani. Chiunque abbia in sorte di percorrere la propria strada, lo deve fare armato di semplice speranza e colla consapevolezza della sua solitudine e dei pericoli che essa cela nei suoi abissi nebbiosi. La nostra epoca cerca una nuova fonte. Io ne ho trovata una, vi ho bevuto e quell'acqua mi è piaciuta. Questo è tutto ciò che voglio e posso dire. La mia intenzione e il mio compito di fronte alla società sono stati portati a termine se ho descritto, per quanto so fare, il cammino che mi ha portato a quella fonte. Le grida di coloro che non percorrono quella strada non mi hanno mai preoccupato, né mi preoccuperanno mai. Ogni novità si scontra sempre con la resistenza dell'antico. E stato sempre così e così sarà sempre; fa parte dell'autoregolazione degli eventi psichici. |